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La strada dapprima si snoda dritta nella larga valle con il fiume a destra o a sinistra senza dar nell’occhio. Quindi i monti più vicini e la strada che comincia a curvare, aggirare gli smottamenti delle vallette minori, quindi salire e le cime innevate scintillanti. Finché appare il roccione del castello di Breno, al sole mentre il paese resta ancora in ombra. Sventola la bandiera italiana. Quando andremo alla sua scoperta dopo pranzo – due rampe e si è sopra il paese – troveremo una coppia a passeggio con il cane, giunti da Brescia.  “Quella cima innevata è l’Adamello?” “No, il Pizzo Badile”, e mi fa pensare all’impresa alpinistica del lecchese Cassin, in Valmalenco però. “No, questo è il Badile Camuno e a sinistra il Concarena”. Sporge, bianco, di fianco, e chissà come apparirà dal Passo dei Campelli che avevamo raggiunto questa estate?

A Breno siamo a metà Valcamonica. Napoleone la unì a Bergamo, poi con il Regno d’Italia fu riaggregata definitivamente a Brescia. “Bresciani, bresciani” e mi sorride sotto i baffetti il signore che interpello per arrivare al Museo. Oltre che conoscitore del paese e di storia è un appassionato di proverbi. Li studia anche nelle loro incongruenze. Li perdiamo con il dialetto e perdiamo vivezza nel parlare.

Il Museo è nel borgo antico. Raccoglie opere di varie epoche. Un prete, don Romolo Putelli, ha cominciato a raccogliere oggetti di sacrestia: ritratti di parroci, statue di santi, quadretti lignei di scene sacre, tabernacoli, crocifissi, paramenti, mobilia di famiglie nobili, stemmi, tele fino ai manufatti benfatti di cultura popolare. Rischiavano di disperdersi, di prendere strade oblique, razziate dagli antiquari. Sono rimasti dove sono nati, respirando la stessa aria e dando luce alle proprie origini. Ci sono icone passate da Venezia, resti di epoca romana e longobarda, dell’Alto Medioevo e di epoca più recente delle botteghe venete, bresciane, bergamasche come il Romanino che ha tanto lavorato in valle, il Gambara, il Piazza, il Procaccini, Giovanni Pietro da Cemmo. Una sala è dedicata agli artisti dell’Ottocento e del Novecento e si parla di Trecourt, D’Azeglio, Loverini, Diotti, il loverese Oprandi. Tutto è ben custodito e illustrato, un prezioso caveau dell’arte camuna. La signora ci segnala anche il parco archeologico del Santuario di Minerva, fuori paese verso Malegno.

Un dipinto di Giuseppe Bertini, pittore verista, riprende, secondo il gusto del tempo, un tema storico tratto dal romanzo Marco Visconti di Tommaso Grossi: l’amore impossibile tra Bice del Balzo e Ottorino Visconti, contrastato dal Principe zio perché memore di una identica infelice passione con la madre di lei. Il pittore ha colto l’attimo in cui la giovane, rinchiusa nelle segrete del castello, sviene. “E’ raffigurata esanime tra le braccia dell’ancella, incapace di far fronte alla paura della morte che sente avvicinarsi al rovinar dell’uscio della prigione”.

Stretta dalle case vecchie è l’antica pieve di S. Antonio. Il Romanino vi ha lasciato la sua impronta. Ghigni, facce accostate, posture, gesti scomposti di soldati o personaggi che si accalcano e sovrappongono, rendendo così drammatica la scena. Tra i temi quello tratto dal Libro di Daniele: tre giovani del popolo d’Israele che non volendo rinnegare la fede sono condannati a bruciare nella fornace con l’angelo del Signore che interviene e li salva facendo ardere i carnefici.

“Abbiamo appena festeggiato il Santo con il tradizionale falò la sera fuori, in piazzetta”. Erano tradizioni del mondo contadino che viveva di candele e di torce la notte. Non c’era l’inquinamento luminoso e il cielo era veramente stellato. Si inneggiava alla luce, la chiesa “casa di Dio” che è luce.

A pranzo si chiacchiera. “E’ di qui?” ”No, ma vengo in questo ristorante quando mi va di mangiare i casoncelli come si deve”. “Voi di Bergamo? è stata anche la mia città. Ho fatto le scuole al Patronato negli anni ’60. Cos’era! Ragazzi da tutte le parti. Ho fatto il corso di elettrotecnica e poi all’Esperia, una signora scuola.” Come secondo si fa portare polenta e arrosto e noi lo seguiamo. “Una vera prelibatezza che sanno fare qui è la salsiccia di castrato”. Come dolce abbiamo assaggiato la stongada, la pagnotta dolce tradizionale, e una ce la siamo portata a casa. 

Link utili:
Comune di Breno
Mangiare a Breno


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Fonte immagine di copertina: Depositphotos

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