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Sporge austero il santuario di Colzate, circondato dal bosco, a mezza costa là dove la Val Seriana si restringe dopo aver trovato spazio a Vertova e nella Valgandino. Fa pendant sul versante opposto con la Chiesa della Trinità sopra Casnigo. Una volta ci si arrampicava per arrivarci, ora vi conduce la strada che prosegue per la frazione di Bondo. Non è mai stato convento, non ci sono stati monaci. Una massiccia muraglia posta su un grumo roccioso cinge il luogo sacro che ospita due chiese: il Santuario in magnifici stucchi barocchi e il più antico e semplice Oratorio. Tra i due edifici un riparato sagrato con il porticato del ‘700 dalle snelle arcate e uno splendido panorama.

Si celebra la sua festa il 17 marzo. Resiste il ricordo di San Patrizio pur così lontano per tempo e luogo. Si dice che la Chiesa dedicata al Patrono d’Irlanda sia sorta su iniziativa di un mercante che da queste parti arrivò od era di passaggio per vendere o comprare stoffe e lane, prodotti che hanno fatto per tanti secoli la ricchezza della zona. Non era irlandese. Il padre era funzionario romano in Britannia. Siamo attorno al 300 d.C. Fu rapito giovanetto e venduto come schiavo ad una tribù del nord dell’isola che allora si chiamava Ibernia. Costretto a custodire pecore e avendo come riparo dal freddo e dalla pioggia caverne e alberi, ebbe modo di riflettere. Trovò consolazione nella fede e nella preghiera. Dopo sei anni di prigionia riuscì a fuggire, trovare un’imbarcazione e rientrare a casa. Cambiò mentalità, volle fare della sua vita una missione tra quelle popolazioni che aveva conosciuto e di cui aveva appreso lingua e costumi. Fu accolto, si guadagnò fiducia e riuscì ad accordare cristianesimo e mondo celtico.  Da allora si cominciò a pregare e scrivere in una lingua propria. Nacque con lui una vita monastica feconda.

Gli affreschi narrano episodi veri e leggendari della sua vita: la chiamata alla nuova vita, lui pastorello orante, la sua investitura a vescovo, mentre battezza il re con tutta la sua gente, come predicatore e taumaturgo, protettore dei poveri e degli indifesi e infine nella gloria del Cielo.

Su un lato della navata sono esposti 25 ex-voto che erano stati trafugati anni fa e ritrovati insieme ad altra refurtiva dai carabinieri di Monza. Erano espressioni di ringraziamento per la guarigione ottenuta, dopo la caduta accidentale da cavallo o dall’albero, per lo scampato pericolo da naufragio o un assalto dei briganti, dopo un difficile parto o il ritorno dalla guerra.  La nostra vita è esposta, ci sentiamo indifesi e impotenti e perciò alla ricerca di conforto o di un senso.

Oggi è nascosta dagli addobbi dell’altare la bella tela di Francesco Dagiù detto il Capella raccolta in una cornice lignea dorata, che assomiglia a un portale di trionfo. Si raffigura il vescovo Patrizio in dialogo con i Santi Gregorio Barbarigo e Gerolamo Miani, che se non nativi di Bergamo, nella nostra terra hanno esercitato la loro opera spirituale. Pregevole è la statua policroma del santo, opera di Giovan Battista Caniana.

La gente confluisce per la messa. Con l’avvicinarsi dell’ora il flusso aumenta. Ci sono capannelli di uomini, qualcuno attende sulla panchina o prende fiato dopo la faticosa salita. C’è chi è di passaggio e si affaccia dal loggiato per ammirare la valle. Quelli del servizio affrettano i preparativi. Si entra nel santuario a prendere il posto, coppie, amici, anziani malfermi sostenuti dal familiare o dall’amica contenta di aiutare. Arrivano i preti. I confratelli sono già pronti in camice bianco e mantella rossa. Giunta l’ora l’atrio si svuota, i ritardatari entrano alla chetichella. Si porta il turibolo fumigante. Si avvia la piccola processione, aperta dai confratelli con il crocifisso e le candele, pochi passi che separano l’antica chiesetta dal Santuario. L’organo che spaziando su temi diversi ha fatto gustare le sue sonorità e creato l’atmosfera della solennità intona le note per il canto corale d’inizio, solenne, partecipato. Prezioso e suggestivo questo Santuario, il solo in Italia dedicato al santo nordico.


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