Nel suo percorso narrativo la scrittrice Serena Vitale intreccia memoria storica e vicende personali: dal duello di Puškin alla tragica vicenda della sorella Rossana.
IL BOTTONE DI PUSKIN
Il bottone di Puškin, la prima opera di Serena Vitale (1995), è dedicata alla sorella Rossana, morta a vent’anni. Il racconto ricostruisce il duello che portò alla morte il più celebre poeta russo, Alessandr Sergeevič Puškin, e insieme un affresco dell’aristocrazia di Pietroburgo. Era il gennaio del 1837 quando, sullo spiazzo designato coperto di neve, la pallottola dello sfidante colpì Puškin al petto. Dopo tre giorni di agonia sopravvenne la morte, a 37 anni. Al funerale come non si era mai visto, la folla riempiva chiesa, piazza e strade circostanti. Fu una questione d’onore, un odio covato in famiglia verso il cognato venuto dall’Olanda, Andrej D’Anthès che in Russia aveva fatto fortuna. Si spettegolava circa una sua relazione con la moglie di Puškin, bellissima. Il poeta che temeva il ridicolo più del colera era roso dalla rabbia. D’Anthés era entrato nelle grazie dell’ambasciatore d’Olanda, adottato come suo figlio ed era diventato cavaliere della Guardia imperiale. Un bell’imbusto, chiacchierato e corteggiato nelle case dei nobili da giovani donne e dalle signore. Un bottone della giacca salvò D’Anthés, come si appurò nella meticolosa ricostruzione dei fatti su volere del Consiglio di guerra volta a escludere brogli; dopodiché D’Anthés fu radiato dall’esercito e accompagnato al confine. La Vitale ricostruisce i fatti da dichiarazioni, commenti, giornali, diari, lettere, archivi familiari, ricordi di personaggi implicati, con un linguaggio essenziale, in un incalzante racconto.
L’IMBROGLIO DEL TURBANTE
Dalla frequentazione degli archivi (Mosca, Istambul, Parigi, Venezia, Roma) uscirono altri racconti della Vitale, ambientati tra Oriente e Occidente. Uscì la storia rocambolesca di un missionario piemontese (L’imbroglio del turbante, 2006) che spacciatosi per profeta divenne capo guerriero islamico contro gli infedeli cristiani, in un Caucaso rivoltoso, tra la Russia vogliosa di affacciarsi sullo scenario europeo e l’impero ottomano in decadenza. Uscì la storia di Simon Pascià (2009), nato cristiano e diventato comandante della flotta turca, stratega temuto per le rappresaglie sulle coste cristiane; e la storia di Jem Sultano, intenzionato a scalzare il fratello maggiorenella successione alla carica somma della Sublime Porta, e che sconfitto si rifugiò tra i nemici cristiani ottenendone all’inizio rispetto e protezione, salvo essere travolto nel cambiamento in Italia degli equilibri politici di inizio Cinquecento. E ancora storie di folli, briganti, buffoni, impostori, signori onnipotenti di quel paese immenso (La casa di ghiaccio).
A MOSCA, A MOSCA!
La Vitale aveva ripetutamente frequentato la Russia sovietica, come insegnante e ricercatrice, e pubblicò appunti e riflessioni in un saggio A Mosca a Mosca! (2010). Visitò il paese natale di un altro grande poeta dell’anima contadina russa, Serghei Esenin raccontato in una rocambolesca e comica avventura che dà l’idea di una Russia dall’interno. Lei stava lavorando per la biografia di Esenin. Uno straniero come lei era poteva allontanarsi da Mosca solo con speciali permessi e sempre accompagnata da un funzionario, in un paese di controlli e controllori dove nessuno si fidava di nessuno. Il suo era un ubriacone, il che non era una novità. Negli ospedali era stato fatto sparire qualsiasi tipo di disinfettante a base alcolica per la semplice ragione che se lo bevevano regolarmente infermieri e dottori. Questa guida aveva il compito di fornire documenti e lasciapassare, compresi i biglietti del treno suoi e della Vitale. Ma non in grado di esibirli, perennemente sbronzo e accasciato sul sedile. Ci pensò la nerboruta “capovagone” a destarlo con un secchio d’acqua gelida e così permettere il proseguimento. Stessa scena all’albergo, lui sempre alticcio, appena in grado di scusarsi per aver dimenticato i documenti. E dato che senza documenti non si accettavano ospiti nell’albergo la Vitale fu messa letteralmente alla porta, costretta a dormire tutta la notte tormentata dalla onnipresente blatta orientalis. Pretendeva anche un premio, una bottiglia di vodka in ricompensa. Prima con fare autoritario poi supplichevole, “almeno un bicchiere: vai tu che a me non la danno”. Dovendo poi lei al buffet dell’albergo, sentire, neanche tanto sottovoce, il commento: “lo vedi? te lo dicevo che bevono anche loro”.
CARTELLA CLINICA
L’ultimo libro di Serena Vitale, Cartella clinica è invece un racconto familiare struggente, la ricerca delle ragioni per la morte della sorella. Un documento ancora la conduce, la cartella clinica dell’Ospedale psichiatrico dove la sorella era stata alla fine ricoverata ed era morta. Nel referto “schizofrenia”. “Perché?” si era chiesta tutta la vita la scrittrice, “perché proprio lei Rossana?” Cos’era successo alla sorella di quattro anni più grande di lei, tanto brava e bella, iscritta al conservatorio di Lecce, che al saggio finale dell’VIII anno, aveva ricevuto i complimenti del professore che in presenza dei genitori aveva detto “farà senz’altro molta strada”? E invece nello spazio di pochi giorni aveva perso completamente la ragione. Perché? Per lei Rossana era perfetta, gli appariva felice. In poco tempo era sprofondata, divenuta svogliata, trasandata, apatica, maleducata, pure bugiarda. Alla sua festa di compleanno, una volta andati via gli amici, si era messa al pianoforte, a mezzanotte passata e non la smetteva più. I vicini inviperiti urlavano di finirla. Una girandola di ricoveri, le cure, anche elettroshock come ancora si usava. Tutta la famiglia trasferita a Roma, in un appartamento modesto, la mamma che si dava da fare, oltre la scuola elementare, qualche lavoro di ufficio arrivando a casa esausta; il padre che era stato un bravo pianista, ridotto a dare qualche lezione, sempre più chiuso nella depressione. Fino alla telefonata dall’Ospedale psichiatrico: “Rossana è morta”. Il saggio è una lettera d’amore di Serena per la sorella. La sua conclusione: “la schizofrenia non è un’influenza: ieri ho preso freddo oggi ho la febbre. E’ un tragico addio alla realtà di cui va rispettato il mistero”.



