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Nel nome Carbonara di Bari risuona carbonarium o luogo dei carboni. Allora i carbonaresi erano contadini, prima che il paese diventasse quartiere della città, e prima ancora che si costituisse nel 1860 con l’Unità d’Italia uno dei Comuni di Terra di Bari.

Nel centro storico si percorrono vie o piazze che dal nome richiamano di per sé la Settimana Santa come Croce, Michele, Maddalena, Salvatore, Veronica, assieme ad altre più particolari come Maria della Fonte, Ospedalieri. Poi arrivò la titolazione ispirata all’Italia Risorgimentale, come la Piazza Umberto I, il Corso Vittorio Emanuele – “via delle chianche” – su cui si snoderà la Processione.

La processione dei Sacri Misteri del Venerdì Santo parte dalle scuole di via Ceglie. C’è fermento ben prima dell’ora fissata. Ci sono gli uomini che porteranno le statue in completo nero e camicia bianca, e al collo il medaglione che riproduce la propria raffigurazione. Le stazioni lignee sono parecchie.

Sulla piazza dell’orologio o della Chiesa Matrice è la sede della Confraternita più antica, quella dell’Addolorata. Qui è posta la statua della Madonna in manto nero, l’orlo dorato, con la stola e il velo che le copre il viso. Le donne, le ragazze e ragazzine della confraternita hanno un identico costume. Conversano, chiacchierano, si chiamano, si rincorrono. A lato ci sono i suonatori della banda di Terlizzi – e ce ne saranno altre – con gli strumenti a terra, o appoggiati al muro; alcuni, come in tutte le attese ormai, ripiegati sul cellulare. C’è la rappresentanza del Comune in impeccabile divisa di cerimonia. La statua dell’Addolorata sarà fatta uscire per l’incontro commovente con il Cristo morto.

Le altre scene sono sulla via, ognuna con il gruppo che le porterà. Gesù e Caifa, lui a capo chino, il Sommo Sacerdote severo e imperioso, a domandar ragioni sul Regno, sulla figliolanza divina, le pretese messianiche, sui suoi gesti sacrileghi contro tradizioni millenarie. C’è il Cireneo che porta la croce, a fianco un Gesù rassegnato, la guardia che lo frusta, il soldato romano dietro.  Certi blocchi richiedono 12 portatori ed altrettanti per il cambio. Procederanno a passo cadenzato, in lenta oscillazione, il passo scandito dalla funerea marcia della banda. Così quelle che rappresentano ”l’Ecce homo”, la Caduta, la Crocifissione, il Compianto, la Sepoltura e altro ancora.

Alla Chiesa del Carmine un Cristo morto nella teca di vetro è fermo ad aspettare che la processione si snodi per il perimetro della piazza grande. E’ in attesa dell’incontro con l’Addolorata quando il brusio della gente qui raccolta si trasformerà in partecipato silenzio. La statua s’inclinerà nel simbolico compianto della madre.  Insieme si accompagneranno verso la conclusione nella Chiesa Matrice. Su questa piazza che un tempo veniva chiamata semplicemente l’aja – spiazzo erboso o un bosco? – attendono, dietro le transenne, donne, anziani, giovani coppie, nipoti o figli in braccio, ragazzi che chiamano, amiche che si ritrovano.

Giovani ragazze in veste di soldato circondano il Cristo, angeli del bene come l’Arcangelo Michele, la cui figura ho visto nella chiesa di Maria SS. del Carmelo lì davanti. Il capo delle schiere celesti è raffigurato in un bell’affresco con l’armatura dorata nell’atto di trafiggere Satana, il capo delle potenze demoniache. La chiesa, sede dell’omonima confraternita, è dell’Opera Pia Di Venere, nome della famiglia filantropa che nell’ ’800 costruì l’orfanatrofio e poi l’Ospedale, tuttora operante.

Il parroco ha aperto la processione con una breve esortazione, un invito al raccoglimento. Bando alle chiacchiere, via le distrazioni, il cuore si apra alla preghiera e alla conversione. La grazia di Dio trasforma chi la sa accogliere. Qualcuno l’ha esperimentato. Ne ha avuto conferma lui stesso nelle ormai rarefatte confessioni pasquali. Di conversione c’è sempre bisogno, tanto più nei nostri difficili tempi.

Il pensiero sarà inevitabilmente corso agli episodi di violenza della notte precedente, quando due giovani sono rimasti feriti in una sparatoria, per fortuna senza gravi conseguenze. Ne hanno detto i giornali. La mala insanguina le periferie del capoluogo pugliese troppo abbandonate e facile bacino di reclutamento.

Il tamburo risuona. Vie e piazze che la sera dei mesi invernali si sono fatte deserte, salvo che per gli avventori di pizze e panzerotti, rivivono. Anche qui l’anonimato si fa sentire nonostante le strade liberate dalle macchine, i cassonetti della spazzatura spariti, i rifacimenti di piazza e facciate.  Stasera gli usci si aprono, dalle finestre si affaccia chi non può scendere. Si appoggia al muro qualcuno e assiste, o partecipa a volte lanciando un saluto al figurante che conosce o seguendo la manovra dei portatori che arrestatisi riprendono il passo dopo aver tolto il bastone di appoggio o essersi dati il cambio.

Si va alla Chiesa Matrice, purtroppo rifatta nell’interno ma conservatasi in facciata secondo uno stile tra il barocco e il neoclassico. L’edificio era del XII secolo, antico come quello di un’altra, la Chiesa di S. Antonio, ubicata al Castello, ma distrutta nel momento della Rivoluzione francese.

Si procede al passo cadenzato dal tamburo. Non ci sono botti, sono bastati gli spari della notte. Risuona la marcia della banda, non di Carbonara che un tempo pur c’era. La passione musicale è rimasta come constato nelle frequentazioni domenicali. Se qualcuno è amante di Jazz avrà senz’altro sentito del trombonista Gianluca Petrella, di Carbonara di Bari appunto.


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