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Gli storici, i giornalisti politici, gli intellettuali di ogni estrazione ci hanno provato a raccontare Aldo Moro, lo statista della DC ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978 dopo un periodo di prigionia durato 55 giorni.

Non certo un compito semplice. Anzi, scrivere di Moro è arduo in quanto si tratta di una figura cresciuta attraverso esperienze intellettuali, politiche e spirituali di una densità non comune. Un approccio, mai tentato finora, per mettere a fuoco il politico, accademico e giurista di Maglie (Puglia), si declina con l’indagine grafologica. Con uno studio certosino sui 400 manoscritti di Moro, l’Editoriale Delfino (attraverso il marchio indipendente L’Onda) ha pubblicato “Così parlò Aldo Moro – Un calvario dignitoso”. (copertina)

Gli autori, Evi Crotti (bergamasca di Bonate) e Alberto Magni, sono garanzia di serietà avendo “disseminato” in ogni dove un florilegio di titoli da diventare punto di riferimento nell’analisi e nell’interpretazione della grafia. Con la prefazione dell’avvocato penalista Umberto Ambrosoli e un quadro biografico redatto dal giornalista di Bresciaoggi Giuseppe Spatola, il libro si sofferma sugli scritti di Moro durante la prigionia, che la Crotti ebbe modo, all’indomani del rapimento, di confermare come autentici in seguito a una sollecitazione periziale dell’allora ministro degli Interni Francesco Cossiga.

Una prospettivascrive Ambrosoliche ben arricchisce tutti gli altri approfondimenti che fino ad oggi hanno reso possibile la comprensione della persona, dello statista e della vicenda umana del sequestro. L’analisi della grafia e dei suoi mutamenti nel corso di quei 55 giorni evidenzia in dettaglio l’inevitabile cambiamento  – la direzione e il suo progredire – della condizione psicologica dell’allora Presidente della Democrazia Cristiana, ma anche il crescere quotidiano di una già importantissima forza spirituale”.

Il valore aggiunto del libro sta nel riportare gli spezzoni della scrittura e della firma originale di Aldo Moro attorno ai quali si sviluppa e si concentra l’abilità degli autori di descrivere l’evolversi dell’odissea emotiva patita del sequestrato. “Da essi si evidenzia – scrivono gli autori – tutto il suo dramma di uomo nel quale speranza e delusione si sono alternate creando dei conflitti drammatici in lui e degli interrogativi in chi poi ha riletto tali documenti. Si può capire come anche una personalità ben strutturata, come quella dello statista pugliese, possa sgretolarsi perdendo stabilità emotiva, e come egli abbia avuto bisogno di quegli affetti che non sbiadiscono mai e che non tolgono la compartecipazione emotiva, per non dare spazio all’ansia e al panico, che terrorizza e non permette a nessuno di fare l’eroe”.

Prima del rapimento Moro evidenziava nel tratto scrittorio (oscuro, fluido e scorrevole) la predisposizione a tenere insieme le differenti dimensioni della propria vita: quella dell’azione politica, quella dell’insegnamento, quella della fede, quella familiare e affettiva, e così via. E poi emerge la caratteristica dello statista a volere capire le cose, esaminarle in profondità, interpretarle. “Diversamente da quanto sarebbe stato lecito aspettarsi da un uomo di potere, – ebbe a scrivere Franco Marininon sbarrò le porte alla comprensione”. “Anzi, – aggiunse Luciano Lama in un contributo a un percorso interpretativo di Alfonso Alfonsi e Luciano d’Andrea – aveva la virtù e il gusto della ricerca”.

Scorrendo il libro di Crotti e Magni si scopre “come il linguaggio silenzioso della scrittura faccia emergere nel corso della prigionia i cali del tono, la perdita di energia e l’aggressività. Tutto ciò assumeva il significato di un “urlo” di richiamo verso chi gli era stato amico”.

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