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Incontro il parroco di Polaveno. Lo scambio per una persona qualsiasi che cura l’orto. Gli chiedo della Chiesa: “E’ quella di Polaveno?”. “Si” e subito me la apre. In camicia grigia, mezze maniche, non grasso né alto, lo sguardo amichevole, occhiali e un’ombra di barba, un parlare senza fronzoli. Nella sua opera di apostolato è partito dalla Bassa bresciana per paesi diversi, anche a Montisola; in termini calcistici si direbbe sempre in campo mai in panchina. Qui approdato da qualche anno con tre parrocchie da gestire..

Insisto: “Ma è proprio la Parrocchiale?”. Immaginavo un chiesone al centro paese, invece è ai margini, quasi appartata. Fuori appare semplice, il portone s-centrato, la cornice di pietra grigia con l’architrave senza ricami, un piccolo rosone, un fianco della casa parrocchiale ne occupa una parte. Dentro mi appaga. Una sala unica larga come si usava nel tardo medioevo. E’ stata poi ritoccata, allungata, con gli altari laterali barocchi, eleganti edicole che fanno da cornice alle tele, un’imponente tribuna per l’organo che fa pensare al ruolo del canto e della musica nella liturgia. Non ho visto la pala di Giacomo Cossali, L’Annunciazione, nascosta oggi dallo stendardo bianco-azzurro del tempo liturgico pasquale con la statua del Cristo risorto. Dà allegria il porticato sul lato valle dove si abbraccia il paese sparso di contrade dai nomi dialettali con l’h all’inizio o alla fine.

La presenza di capannoni mi colpisce. “Fin qui con i camion di materiali?” gli dico. “Siamo alle spalle della Val Trompia, la patria delle armi. Molti hanno lavorato a cesellare fucili e pistole, secondo le richieste della clientela, da bravi artigiani e lavoratori.” Secondo quanto raffigurato sul soffitto della Chiesa stessa: la bottega di San Giuseppe con le parole “opificum exemplar”, esempio di lavoro.

Noto la statua di S. Anna con il libro in mano e la Madonna ragazzina a imparare; e in parte quella di San Nicola, in abiti vescovili ma dalla faccia gioviale che mostra sul piatto tre sacchetti al posto delle canoniche palle dorate. “Li festeggiamo alla fine di luglio, portandoli in processione.  Le varie contrade partecipano con costumi tradizionali e colorati, ogni contrada la propria. Polaveno è conosciuto per la corsa delle oche.  “Avvenimento contestato dagli animalisti. Ci sono però regole ferree per alleviare lo stress dell’animale. Non è un’usanza antica, ma fa folklore. Alla sera fuochi d’artificio”.

Siamo a ottocento metri di altezza, poi solo boschi.  Leggo un cartello segnaletico di sentieri. Uno si chiama Val dei lupi. “Perché ci sono i lupi?” chiedo a una signora che non ha molto tempo di chiacchierare e che risponde con “c’erano sì una volta”. Qui non si sta con le mani in mano: o la cucina da preparare o la casa da sistemare, o giù in fabbrica a lavorare. In giro poca gente.

Il parroco mi parla del Santuario della Madonna del Giogo. C’è un bel gruppo di Alpini che l’ha sistemato e tiene tutt’intorno in ordine”. Mi indica la strada: “Sale finché trova una sbarra; poi bisogna proseguire a piedi, per una mezzora buona. Da lassù si gode una vista meravigliosa del Lago d’Iseo. Si usa dire nei paesi del lago che le Tre santissime si guardano. Questa del Giogo, la Madonna di Montisola e quella di Parzanica sulla sponda bergamasca. Da maggio a settembre celebro la messa la domenica nel pomeriggio” “C’è gente?” “Sempre. Gli alpini tengono aperto rifugio e fanno trovare un piatto caldo e tanta allegria”.   

La chiesa è intitolata alla Natività di Maria. Ci sono affreschi che erano atti di devozione, più volte rifatti, cancellati e poi sovrapposti. Si ripete l’immagine della Madonna con il bambino, e dei santi Antonio, Rocco, Bartolomeo; c’è un’Ultima cena. Tra il Quattrocento e il Cinquecento arrivarono i benedettini di Sant’Eufemia di Brescia per un paio di secoli.

Pare che il nome polàveno venga da Pola, da profughi dell’Istria qui emigrati. Resta ancora un luogo di passaggio, amato dai ciclisti, crocevia tra la Franciacorta, la Val Trompia e la Valcamonica.  Scendendo su Iseo in vista del lago si aprono pianori coltivati a vite dove le piante sono tenute in ordine con operazioni di stralcio. Salendo invece da Ome, la strada è costeggiata da piante di ulivo, almeno per un paio di chilometri. Poi il bosco che tutto uniforma.


La rubrica è diventata un libro