
Valleve ha un nome gallico (Valle di Leufo). S’incunea a lato dell’attuale strada che porta a Foppolo. Una volta era mulattiera che entrava nel paese, saliva nella Valle e sopra incontrava un’altra mulattiera a Cambrembo che portava a Foppolo. Forse erano diverse mulattiere il cui disegno non conosco; comunque la strada attuale non c’era. Il cartello di benvenuto, un invito a entrare, tanto più che la strada prima di riprendere a salire sembra suggerire una sosta, un prendere fiato, anche se siete alla guida di una potente moto. Fermatevi! A destra il paese. Vi accoglie uno spiazzo, con parcheggio e area giochi, il bar con qualche tavolino fuori. Il primo approccio.
“E’ freschetto qui, a differenza di Bergamo.”
“Già, poi il sole scalderà”.
“Si troverà aperto più in alto?”
“Non oggi, solo per il fine settimana”.
“Vi ho visto qualche giorno fa in una puntata di Gente e paesi”.
“In verità era di qualche anno fa”.
“C’è una chiesetta più avanti”.

Cammino senza incontrare nessuno né vedere chiese. La piazza è un abbraccio. Supero Municipio e Poste, e una cupola in legno per manifestazioni, poi la strada davanti alla casa che fa da fondale disegna una esse e continuare attraversando un arco tra case addossate e salire la valle. Un’altra strada invece va verso il torrente. Sembrerebbe un torrentello ma è il Brembo, uno dei rami sorgivi, due dalla parte di Carona e Foppolo, il terzo quello di Mezzoldo e della Cà San Marco. La Chiesa di San Rocco ce la siamo lasciata alle spalle senza che ce ne siamo accorti. Tutto pare ben sistemato, non ci sono segni di degrado. Un invito ad abitare. Case quadrate, armoniche, ornate, restaurate, la Casa dei Notai e la Casa dei Fabbriceri. Una condotta dell’acqua. Leggo sulla porta: Centrale termica. Il Museo in un edificio nuovo, a forma di portico con una vetrata. Parlo con un Cattaneo. “Qui sono Cattaneo o Moioli, i pochi rimasti, un centinaio forse. Ma io non sono di qua. Sono di Cambrembo, la mia casa è in parte alla Chiesetta di Santa Elisabetta che si vede salendo a San Simone. Ho sposato una di Valleve e da qui non mi sono mosso più”. Mi parla della mulattiera, una delle tante che c’erano. La strada che va a Foppolo è stata fatta un centinaio di anni fa. “Anche la Chiesa di San Pietro e Paolo, quella grande, sul dosso, dove la strada prosegue, è stata rifatta dopo la valanga”.

Bisogna venire la domenica per vedere l’Annunciazione del Ceresa, in ambientazione valligiana. Vien da pensare a personaggi manzoniani. Nella vivacità dei colori, lei modesta, ossequiente, lui esuberante, dai capelli ribelli, dalla tunica bianca svolazzante e il bel corpetto ricamato. Riusciamo a vedere la Chiesetta di San Rocco per la disponibilità della signora Berera, maestra in pensione. Sull’altare un’ancona dorata barocca. La tela raffigura oltre alla Madonna e Bambino San Nicola – riconoscibile dalle tre palle auree – San Rocco, San Sebastiano e forse un Sant’Ambrogio. C’è pure un Cavagna. Ci affreschi ricuperati dalla Chiesa travolta dalla frana; e le originali statue di San Pietro e Paolo che stavano sul portale d’ingresso (quelle attuali sono copie). La chiesa funziona soprattutto d’inverno.

Non ha le chiavi per il Museo. Un tempo segheria (La Rasega) ha l’aspetto di un porticato in legno chiuso da una vetrata. Si conservano i manufatti del lavoro e delle tradizioni locali, la lavorazione dell’ardesia, reperti antichi. Ci dà il numero del telefono così torneremo. E’ una sofferenza vedere il paese deserto. “La corriera?” “Sì, c’è. Serve ai ragazzi per la scuola. Ma siamo un po’ soli. Ma non ci si può fare niente. I giovani non ci stanno, e noi invecchiamo”. D’estate darà un’altra impressione. Intorno le montagne, quelle alte ricoperte dalla neve. Mia moglie mi tormenta sempre perché vuol sapere i nomi. Pegherolo, dove arrivano le piste di Piazzatorre, il Monte Secco, dall’altra parte il Monte del Vescovo e le montagne verso i Laghi gemelli. Una volta si frequentavano i rifugi dell’Alta Valle e si conosceva i monti soprastanti. Oggi i camminatori fanno due o tre cime per volta. Intanto la folata di aria fredda ci fa desistere dall’idea iniziale. Torniamo a Bergamo.

La rubrica è diventata un libro
