Biondi immobiliare

Di solito passavo per la via veloce, dietro ai camion, in direzione Ponte di Brivio. Per evitare il passaggio a livello di Cisano. Il paese di Villa d’Adda resta sulla destra, alla sinistra c’è l’Adda. La vecchia strada, più sopra, forse seguiva un tracciato già romano, che dall’Isola portava in Val San Martino. Per passare il fiume il primo ponte doveva essere a Calolzio.

La Chiesa Parrocchiale (1760) intitolata a Sant’Andrea, è sulla strada vecchia. La precedente parrocchiale era “in Catello” – ossia in castello – su un’altra strada che risaliva dall’Adda, dal “Porto del traghetto”. Villa d’Adda si è sviluppata in basso o in alto secondo i periodi storici. La zona industriale odierna è tutta in basso. Il traghetto emblema di Villa d’Adda e non solo di Imbersago sulla sponda lecchese, pare tornato in azione, almeno la domenica. E’ legato al nome di Leonardo, che vi abbia o no messo le mani. L’importanza storica del fiume è indiscutibile.

Sant’Andrea in Catello consacrata nel 1469, era stata la Parrocchiale nel distacco dalla Pieve di Brivio. E’ oggi di proprietà privata, e degnamente ricuperata, ridotta qualche decennio fa ancora a fienile. L’ho trovata chiusa ma è visitabile il primo sabato del mese. Ha una struttura a più campate come si può notare anche da fuori, con altari laterali aggiunti, affrescata e stuccata in diversi momenti, di pregiate opere del Cavagna e del Ceresa, ora al Museo Diocesano. Aveva – a titolo di curiosità – un bel divisorio in legno intarsiato che separava uomini dalle donne, ancora visibile nell’Ottocento. C’erano state per un breve periodo le monache, presto sloggiate: creavano problemi? Non avevano sostegno adeguato?  o forse troppo stante il fatto che le due ultime monache rimaste percepivano un beneficio superiore a quel che il convento di Milano dello stesso ordine aveva a disposizione.

Dov’è il centro?” chiedo al signore che incontro in località Castello, altro gruppo di case. “Non c’è, o forse sono due i punti che fanno, per modo di dire, da centro. I negozi che c’erano sulla strada hanno chiuso. E’ diventato un paese dormitorio. Per carità si sta bene, non me ne andrei per nessun motivo. C’è quiete. Se ti guardi attorno, in un giorno come questo, ti si solleva il cuore. Ma i servizi sono scarsi. Sulla strada in successione passi davanti al fornaio, la pizzeria, la farmacia, più in basso un piccolo supermercato, il bar, e non li noti. Il resto bisogna cercarlo a Carvico”.

Dal sagrato della Chiesa parrocchiale ci si accorge quanto è sparpagliata Villa, nuclei di abitazioni vecchie un po’ dappertutto. Il territorio dal fiume sale a gradoni, resti di epoche glaciali, al succedersi di grandi variazioni climatiche, con smottamenti del Monte Canto e l’affossamento del corso del fiume. In epoca medievale gli edifici raggruppati fungevano da fortezza. “Questo posto, dove io e due altre famiglie abitiamo, era una fortezza, con diverse torri. Una la vedi qui davanti, un’altra è sparita, le altre sono state incorporate”. Si entra per un sottopassaggio ad arco. C’è una scritta che ricorda le lotte tra Guelfi e Ghibellini – Villa d’Adda era ghibellina in mezzo a paesi guelfi – e si entra nel il cortile. Con le mura intorno si sentivano protetti.

Vicino al Municipio c’è la Torre. E’ stata adibita a Museo della valle. Oggi, sabato, la trovo aperta. Si sale per quattro piani, e in cima si ha una bella visione di Villa. Eretta nel XII secolo quando Bergamo faceva sentire il suo potere e la sua protezione. Villa aveva acquistato la dignità di ”borgo”, con dei vantaggi in termini di concessioni e tassazioni. I signorotti locali pur dipendenti avevano in cambio privilegi. I contadini sottostavano e per loro la festa era la stessa. La Torre è stata completamente rimessa a posto, diventando un contenitore di oggetti, reperti, riproduzioni, illustrazioni storiche, mostre ed esposizioni occasionali. Trovo un’estemporanea del pittore villadaddese Guglielmo Locatelli che si laureò a Brera e operò da artista in America latina, in Venezuela soprattutto, ritrattista di personaggi pubblici importanti.

Ero venuto qualche settimana prima, a primavera da poco scoppiata e si vedevano qua e là macchie gialle di forsizie, i bianchi dei peri o il rosa dei ciliegi per non parlare dei roseti a cascata fuori dai recinti. Dal nome non potevano mancare le ville con tanto di balconcini e scalinate, palme o cedri, aiuole e siepi, appartenute ai signori che fino a qualche decina di anni avanti manifestavano così la propria distinzione.


La rubrica è diventata un libro