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Alla Chiesa di Paderno, comincia un piccolo rebus. Confini parrocchiali e comunali non corrispondono più. Dove compero il giornale mi dicono: “La trova girando a sinistra; è di Paderno ma in territorio di Robbiate dove ne trova un’altra.” Quale sarà la più bella? ”Quella di Robbiate è un cesòn, grande! Ma – aggiunge la vivace signora – come mai le interessano le chiese?” Ormai ho il mio schema: centro storico e chiesa.

Vi trovo un prete anziano e una signora sistema l’altare. “Parroco?” “Diciamo sì; quiescente se preferisci, ormai indispensabile come il nonno coi nipoti”. “Sono nativo di Missaglia.” Missaglia, Montevecchia, Cernusco, Merate, gli squaderno i nomi a me familiari e gli accenno Bergamo: “I bergamaschi li ho conosciuti a Sesto San Giovanni, alla Falk. Prima di essere prete sono stato operaio. Stavano i bergamaschi al forno. Senza di loro la fabbrica non andava avanti; mancati loro la fabbrica ha chiuso.” Associo Sesto con un personaggio che ho conosciuto pur cadendo in un lapsus: “A Sesto c’era Enzo Bianchi”. Lui arriccia il naso: “Giovanni Bianchi intendi. Era il presidente delle Acli, grande uomo, di fede e di cultura, un autentico politico nonché poeta. Se non fosse per lui le Acli sarebbero scomparse con la fine dell’era democristiana”.

La Chiesa è ornata di fiori pasquali. “Azalee?” “No, ortensie, garofani, margherite, e guardi là in parte al cero pasquale, la macchia rosa del pesco fiorito”. Gli spiego che il mio parroco ha fatto portare azalee per un allestimento, di quelli che lui sa fare.

Gentilmente mi accende le luci per farmela ammirare. Stanno restaurando la tela centrale dietro l’altare, velata da un telo che copre l’impalcatura. Sento il parlottare delle restauratrici. “Visto che non potete vedere quello andate all’altare laterale, là c’è un dipinto di pregio, di Giuseppe Bertini, Transito di San Giuseppe, e se vi interessano le belle cose guardate anche questo paliotto sotto la mensa. Il predecessore l’ha fatto staccare dal vecchio altare, giusta valorizzazione di un prezioso lavoro a sbalzo su rame dorato. Sono insieme rappresentate Natività e Annunciazione“.

A Porto d’Adda cerco l’accesso sul fiume, per una scalinata in ordine e scoscesa, immersa nel disordinato intreccio di alberi. Verso la fine un rigurgito d’acqua, familiare a me come lo fu, secondo il racconto del Manzoni, al giovane Renzo in fuga dal Ducato di Milano prima di guadagnare nel bergamasco l’impunità della Repubblica veneta. Si arriva in realtà al canale dove si trascinavano le imbarcazioni. Bisognava superare delle rapide. Dovette suscitare ben più che curiosità in Leonardo quando si trovò a servire il Signore di Milano. Sull’alzaia arrivano i ciclisti e s’arrestano perplessi alla rete di sbarramento della strada. Chiusa per frana. Uno di loro contrariato: “E’ da mesi che è scesa e chissà per quanto andrà avanti così”. Il che non sarebbe successo al tempo dell’Albero degli zoccoli.

Per vedere l’Adda bisogna risalire al Santuario della Rocchetta, una trentina di metri sopra, poca fatica per una larga veduta. Fu bastione di osservazione e di difesa, quando le sponde vivevano tempi incandescenti. Per noi una provvidenziale boccata di ossigeno nel rigoglio primaverile.

A Capriate San Gervasio la chiesa è aperta, inaspettatamente visto l’orario, per un funerale. In attesa il  sacrista mi spiega delle tre parrocchie in un unico Comune con due preti. La chiesa è intitolata al martire Gervasio – insieme al compagno Protasio – nella persecuzione di Diocleziano. Quando professarsi cristiano era passibile di morte. Mi racconta qualcosa di sé. Da elettricista a tecnico di impianti e quadri elettrici, prima in società piccole poi più grandi che lavoravano per Enel, Agip, e altre compagnie del genere. “Si stava fuori tre mesi, di più non era concesso per contratto sindacale. Pochi, sempre quelli; si rientrava per ripartire nuovamente. Sono stato in tutto il mondo: Nigeria, Venezuela, Arabia, Russia”. Per questo i bergamaschi sono conosciuti nel mondo. “Una volta definito il progetto e giunto il materiale sul posto partivamo. Mi sentivo autonomo, meglio che stare in fabbrica. Squadrette di due o tre, ed è andata sempre bene.” Mi racconta dei lavori fatti per la chiesa, dell’ultimo rifacimento del pavimento sotto il quale hanno trovato ancora ossa. Mi porta nel corridoio che dalla sacrestia va verso la casa del parroco. C’è l’abside di una chiesa più antica con stucchi e cornici barocche. E’ rimasto sul muro l’affresco della Madonna. Poi hanno ingrandito e orientato diversamente la chiesa attuale.

Se capitate in una giornata come quella di oggi scendete al fiume. La strada parte dalla Chiesa. Arriverete alla riva in un prato con pioppi o salici diradati e una striscia sabbiosa. In realtà vi trovate su una penisola che obbliga il fiume ad un’ansa. Davanti avete Trezzo con le rapide dello sbarramento della Centrale e il Castello dove i Visconti consumavano le loro vendette.  Al fiume si accede anche dall’altro versante e vi sembra che il fiume diventi lago chiuso dal verde, due case e un porticciolo, con il sentiero che va verso Calusco e il Ponte di San Michele. L’alzaia dove i cavalli trascinavano il barcone è sull’altra riva. L’accordo tra i due Stati assegnava l’uso del fiume agli abitanti della sponda milanese. E tale restò fino alla bufera napoleonica.


La rubrica è diventata un libro

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