Guido Calogero (1904-1986) nacque a Roma, il nonno poeta e il padre professore di francese. Si laureò nel 1925 con una tesi sulla logica aristotelica. Presto aveva manifestato la sua passione per la letteratura greca. Interrogato qualche anno prima all’esame di maturità dal filosofo Gentile che gli aveva chiesto del programma: “Tutto Platone in greco” gli aveva risposto. Una passione che gli veniva dalla madre. Nel 1950 pubblicò Filosofia del dialogo, titolo da intendere in senso di genitivo soggettivo: non tanto una filosofia sul dialogo, piuttosto una sul soggetto che dialoga. Un pensiero che viene da Socrate, la filosofia come vita buona, una nuova condizione di vita, base di una politica caratterizzata dalla democrazia.
Amara fu per lui l’esperienza fascista. Finì per perdere la cattedra e fu mandato al confine, in Abruzzo. Aderì all’antifascismo ed entrò nella Resistenza. Il Dopoguerra lo vide tra i fondatori del Partito d’Azione, in una prospettiva liberalsocialista. “Non c’è libertà senza giustizia e giustizia senza libertà”, un programma giudicato da Croce impossibile, “un ircocervo”.
Per Calogero non si può fondare una filosofia teoretica come sapere vero e assoluto. Non una filosofia vera e le altre false, come non c’era più un’unica geometria, quella Euclidea, ma diverse con assiomi differenti. Il dialogo deve tenere insieme diverse prospettive, altrimenti si cade nella dittatura ideologica. Filosofare implica il dialogo (sun-filosofein).
Anche contro Gentile, con cui intratteneva rapporti amichevoli. Nella filosofia gentiliana c’è il soggetto, unico, trascendente, davanti al quale tutto si riduce a oggetto. In tal maniera non si può cogliere la realtà. Sarebbe solipsismo, l’egoismo dell’IO. Si arriva invece all’io incontrando l’altro. Il dialogo si fa concreta azione disinteressata, all’insegna dell’amore. Nel pensiero riduciamo gli altri a oggetti, al contrario nell’amore li riconosciamo. Noi esistiamo negli altri che ci amano.
San Paolo lega amore e fede (I Cor 13): “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi la carità sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna”. E concludeva: “le cose che rimangono sono la fede, la speranza, la carità; e tra loro la più grande è la carità”.
A volte mettiamo limiti all’etica sulla base di un’ontologia. La realtà non è un fatto ma un atto. Chi è il prossimo, domanda Gesù a conclusione della “parabola del buon samaritano” (Luca 10,29-37)? “Chi ha avuto compassione” di quell’uomo lasciato mezzo morto sulla via di Gerusalemme per Gerico, gli risponde il suo interlocutore, dottore della Legge. Chi ama si fa prossimo, cioè elimina le distanze. Senza tener conto di titoli o etnie. La sua visione è però laica. Bisogna fondare un’etica che aiuta a comprendere le alterità. Il senso non sta nella vita compresa. L’etica non è determinata dalla logica. Non esiste una logica al di fuori degli uomini che la realizzano.
C’è un IO che parla e un IO che ascolta. La nostra identità non si limita a individualità. Il dialogo è nel noi. Noi siamo gli altri. Soffriamo con le sofferenze degli altri, gioiamo con le felicità degli altri. Tutti legati a una realtà più ampia, per una totalità. Ci sono esistenze sfortunate, senza esito, fatte di resistenze. Si muore da bambini o nel grembo della madre. Anche le loro vite hanno un senso. Nella morte si continua a vivere negli altri.
Bisogna realizzare un mondo più giusto. Insieme possiamo essere un più. Terra e cielo, insieme per una vita più piena, fatta di respiri vento alberi formiche stelle. Uno nessuno e centomila, secondo il romanzo di Luigi Pirandello, nell’autenticità spirituale dell’esistenza, per un affrancamento da tutte le rabbie del mondo.
Sintesi della relazione di Enrico Giannetto
LA FILOSOFIA DEL DIALOGO DI GUIDO CALOGERO
Bergamo, Auditorium Liceo Mascheroni, 15 aprile 2025
all'interno del Programma Noesis 2024/2025