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Riproponiamo La mia biblioteca, una bella intervista a Tullio Gregory (storico della filosofia e accademico dei Lincei), morto a Roma il 2 marzo 2019 a novant’anni.

Come si è accostato ai libri?
Sono cresciuto in una famiglia dove i libri erano di casa. Io ero un bimbo timido e appartato e leggevo. Quando chiesi a mio padre dei consigli lui subito mi propose De Sanctis, Carducci, Foscolo, Alfieri e Boccaccio.

Come ha formato la sua biblioteca?
I libri permettono di costruire te stesso. Appena potevo all’Università compravo libri, senza un programma definito. Magari mi interessava il titolo. Lo leggo subito? Non importa intanto sta lì. Erano i classici: Dante, Shakespeare, Ariosto. Una persona civile deve avere in casa i grandi autori. Solo un rapporto con i grandi ci permettono i grandi discorsi.

Sant’Ambrogio diceva: “Al voluttuario pensa l’uomo al necessario pensa Dio”. Si applica anche alla lettura?
Sì. E’ bene avere libri in casa. Puoi sfogliarli, altre volte li leggi, e intanto fermentano. Comprai il Bellarmino. Restò lì per un po’. Un bel giorno mi venne voglia di leggerlo e capii tante cose. Armando Torno diceva di essere librinoso, il piacere di avere libri, di ogni genere. Non esistono libri inutili, esistono libri stupidi.

Montaigne, uno dei suoi filosofi, parlava dei libri come del suo retrobottega.
Al liceo sentii parlare di modernismo e comprai testi modernisti. Anche se ho una casa grande e posso ben disporli, scopro sempre qualche libro dimenticato.

Qual è il compito del bibliotecario, visto che ha dovuto a volte prendere in mano biblioteche importanti a cominciare da quella del suo Istituto di filosofia a Roma?
Oggi il bibliotecario si riduce a semplice impiegato. Invece richiede idee. La biblioteca deve essere un laboratorio non un archivio. La biblioteca non è la rete. La rete ti dà quel che cerchi e stop. La biblioteca è spesso un luogo della casualità, cerchi Kant e trovi infiniti altri suggerimenti che non ti aspetti. E’ pur vero che la rete ha permesso di avere a disposizione testi, manoscritti, incunaboli, impensabili prima.

Quali i rischi dell’informatizzazione?
Il libro digitale ha una funzione e un circuito diverso. Gli studenti per lavorare usano la rete, per studiare hanno bisogno del manuale. Le bibliografie sterminate sono frutto del calcolatore.

Da teorico della filosofia che idea si è fatta dei medievali circa il loro uso del libro?
Usavano molto la memoria. Purtroppo i nostri pedagogisti l’hanno combattuta. I libri erano nei conventi, non c’erano biblioteche a domicilio. Avevano più tempo per leggere ma meno comodità delle nostre.

Come andrebbe organizzata una biblioteca oggi?
A scaffale aperto. Si deve camminare tra i libri, si deve vedere il dorso dei libri. E ci deve essere la possibilità di accedere ad altre. Occorre personale specializzato che sappia districarsi secondo le richieste. Recentemente avevo esigenza di consultare via rete alcune parti di un libro. Il mio assistente me l’ha trovato in un batter d’occhio.

Ho letto recentemente sul Corriere che lei avrebbe fatto da “bibliotecario” a qualche cardinale?
Era anche principe, quando i principi erano alfabeti. Mi ha dato mano libera di spendere quel che volevo. Il problema però sono le idee. Come nelle Università, si tratta di costruire un laboratorio di consultazione. Non ci si può fermare. Se esce un libro significativo di una certa disciplina va acquistato. I soldi? Bisogna darsi da fare per trovarli.  

Non le sembra che oggi ci sia un appiattimento di valori? Se un libro è vecchio lo si butta senza guardare?
E’ venuto meno il senso della storia. Ad esempio ci sono libri del ‘700 che andrebbero utilizzati, tanta è la cultura contenuta. Oggi c’è la cultura della Coca Cola, “usa e getta”. Se le biblioteche si indeboliscono si indebolisce il nostro essere. E’ brutta la perdita della memoria. Primo Levi racconta che loro nel Campo prendevano forza nel recitare l’un l’altro a memoria il Canto di Ulisse.

A cura di Mauro Malighetti
Tratta dal video di YouTube rintracciabile a questo link

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