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Alla Cascina Gobba lasciamo la macchina nel parcheggio deserto; vuota appare Milano all’Uscita Lanza della Metropolitana. Quando lo dirò alla ragazza del bar per lo spuntino di mezzogiorno mi risponderà: “Certo, è venerdì, siamo in prossimità delle feste, qualcuno ha anticipato il fine settimana.” “Siete tornati a prima del Covid?” “No, non è più lo stesso”.

In programma c’è la città di Ambrogio.  Era nato in Germania a Treviri. Quando lo nominarono vescovo di Milano aveva alle spalle una carriera di funzionario imperiale ad alti livelli. L’ultimo incarico era stato di governatore della provincia Aemilia et Liguria. Si trovò a Milano, elevata a capitale dell’Impero d’Occidente, in mezzo ai disordini di opposte fazioni, cattolici contro ariani.  Non era nemmeno battezzato. Svolse una funzione moderatrice che gli meritò la stima dei più. Si dice che l’elezione avvenne quando un ragazzo tra la folla tumultuante gridò: “Ambrogio vescovo!”. Non si trovava l’accordo. Ambrogio seppur riluttante all’inizio si dedicò in pieno alla nuova missione.

Ebbe una visione di una Milano cristiana, non più pagana, anche nella struttura urbana. Sull’asse centrale della città romana, tra cardo e decumano, le vie centrali che si incrociavano perpendicolarmente, progettò le basiliche dai nomi significativi: Prophetarum, abbattuta per fare posto ai Giardini Pubblici di Porta Venezia; Apostolorum, oggi la Chiesa di San Nazaro nei pressi dell’Università degli Studi; Martyrum, l’odierno Sant’Ambrogio; Virginum o San Simpliciano.

E dalla Chiesa di San Simpliciano siamo partiti, vicino all’Accademia Brera. Si arriva attraverso una piazzetta che isola dalle vie trafficate. Chiesta l’indicazione ad una signora ferma al semaforo, ci ha risposto prima con fastidio, come succede di questi tempi, poi premurosa e accompagnandoci: “la seconda via, sulla destra la vedrete di faccia”. La sensazione è di edificio antico, mattoni rossi la avvolgono.  Un che di antico miracolosamente rimasto nel crescere e morire di Milano nei secoli. A croce latina, una grande aula centrale dove la luce entra dai finestroni che per quei tempi dovevano apparire immensi. Il portale con le colonnine di colore e forma diverse che lo ornano ci portano dentro. Subito si avverte lo spazio della grande basilica, che invita a percorrerlo, ad oltrepassare i pilastri, percorrere le cappelle, svoltare nei bracci del transetto, aggirare il mastodontico ottocentesco altare. Si ammira l’Incoronazione della Vergine sopra l’altare maggiore attribuita al Bergognone, il coro ligneo, le diverse pale, una di Enea Salmeggia, l’imponente crocifisso del  ‘600 della cappella di San Mauro, le vetrate multicolori una delle quali celebra la vittoria della Lega sull’imperatore Barbarossa.

Simpliciano, discepolo di Ambrogio, gli succedette sulla cattedra vescovile. Fu amico e fratello di fede di Agostino, con il quale si tenne sempre in contatto epistolare. Si sostennero nella fede e nel compito pastorale.  L’impero dava evidenti segni di cedimento. Lo avvertì nettamente Agostino, il pessimista: i Vandali erano arrivati alle porte della sua Ippona. Ambrogio restò fiducioso nella millenaria Roma, ormai cristiana, che non sarebbe tramontata.

Ma il cuore della Milano Ambrosiana è Sant’ Ambrogio, dove il poeta Giusti intrufolatosi tra la maramaglia soldatesca austriaca, accozzaglia di mercenari dai paesi dominati, si commosse ascoltando il Coro di Verdi “O Signor, dal tetto natìo” e compose quella poesia che una volta si studiava in tutte le scuole. Ci piacevano le righe pietose e scherzose: “Povera gente lontana dai suoi, / in un paese qui che le vuol male, /chissà che in fondo all’anima poi poi/ non mandi a quel paese il principale”.

Ritroviamo l’immagine più fedele del vescovo Ambrogio, incastonato nel cielo di tessere dorate: non solenne e barbuto personaggio in manto cerimoniale con tiara e pastorale, ma più realisticamente nella toga di dignitario romano, in una calvizie incipiente, la barba accennata, il particolare delle orecchie più evidenti del solito, il capo leggermente piegato in mite atteggiamento che celava però il carattere di ferro. Nella cripta è conservato il suo corpo, assieme ai martiri Protaso e Gervaso. Sotto l’ambone medievale il sarcofago di Stilicone: custodivale spoglie dell’imperatore romano? Sembrò che il suo tentativo di riportare ordine nell’Impero romano d’Occidente fosse avviato al successo. Invece Fu l’ulteriore cedimento: troppi fronti sguarniti, rivalità interne, le devastazioni, la mancanza di uomini fidati e mezzi. Ucciso come gli altri. Ebbe invece salva la vita Romolo Augustolo, l’ultimo, forse per la giovane età, deposto dal re barbaro Odoacre nel 476 d. C.


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