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L’antropologo francese Lévi Strauss parla di culture che introiettano l’altro, lo assorbono e fa l’esempio di quella romana che così fece nei riguardi della cultura greca; dall’altra parte ci sono culture che espellono l’altro o quanto meno lo isolano come la cultura greca con i barbari.

Il problema dell’altro si pone nella modernità quando con la scoperta dell’America l’uomo europeo si trovò di fronte al radicalmente altro di cui non supponeva l’esistenza. Gli “altri” per Colombo erano i selvaggi, non battezzati, con loro niente era in comune, né storia, né lingua né abitudini, né testi scritti. Montaigne si pose subito in atteggiamento di lievissimo relativismo antropologico: non se la sentiva di condannare nemmeno i cannibali. Al mondo non siamo soli, pensava, ci sono altri che non si può pretendere di condannare né di convertire, e i quali siamo entrati in relazione.

Chi nel nostro tempo ha approfondito il tema culturale dell’altro è stato Tzvetan Todorov che ha vissuto sulla propria pelle l’approccio della diversità culturale. Sentì lo sguardo dell’altro su di lui, lui bulgaro che aveva attraversato la cortina di ferro e in Francia si era trovata a percorrere gli uffici ministeriali per i vari riconoscimenti. Straniero, senza appoggi, senza lavoro, senza conoscenza della lingua.

Nei suoi libri ci parla dei diversi atteggiamenti di ricezione dell’altro. C’è la curiosità di conoscere l’altro, di scoprirlo, catalogarlo, dargli un nome. C’è l’atteggiamento di conquista, assorbirlo fino ad annientare l’altro come fece Cortez con gli Aztechi. Studiò la loro logica per sopraffarli. C’è l’atteggiamento invece che fu di Bartolomeo de Las Casas: tentò di comprenderli, amarli nonostante le differenze, evangelizzarli allo scopo di proteggerli, che anche loro avevano un’anima. C’è infine l’atteggiamento più consono al nostro, che passa attraverso la conoscenza. Gli altri hanno un mondo, una storia, una legge e noi ci sforziamo di capire il loro punto di vista e ci mettiamo nei loro panni.

Tale cambio di passo nell’approccio all’altro si è profilato già con Diderot (Supplemento al viaggio di Bouganville 1771). Lo scrittore illuminista immagina un incontro a Tahiti tra un capitano inglese e il capotribù di quel popolo. Chi è il selvaggio? Il taitiano rappresenta la cultura naturalizzata, noi la cultura corrotta. Noi europei non siamo più quel che lui è. La nostra vita è complicata, finita per essere schiava di sé; quella del taitiano è semplice e più vicina all’uomo originario. Quando il taitiano vuol offrire al missionario che accompagna Bouganville la propria figlia il prete risponde con un “non posso, non è decente”. Si intuisce allora che il rapporto non è paritetico; il dialogo c’è, ma dalla parte dell’europeo si tratta di “tolleranza”. Più che accettare il punto di vista dell’altro lo tollera. Loro sono ancora ad uno stadio infantile di cultura, noi ad un livello superiore. L’altro resta diverso ma inferiore.

Bisogna invece andare oltre. Il critico letterario russo Michail Bachtin (1895-1975), maestro di Todorov, lo spiega con la parola “dialogo”.  Il dialogo avviene su un piano di pariteticità, in un rapporto di equilibrio: “io guardo lui e sono guardato da lui”. L’Altro è come me, interpreta il mondo con la sua cultura e io devo rispondere senza pretendere di impormi. Husserl parlava di relazione empatica. Dietro l’altro non ci sta solo un pensiero, un carattere, una classe sociale, ma anche una persona, una vita, è mosso dai sentimenti. Il rapporto è produttivo se tiene conto della comune ricerca di valori (essotopia). “Dialogare significa rendere produttive le differenze”. L’Europa è nata confrontandosi con le differenze, pur tra tante guerre ha creato un tessuto comune, un comune sentire che va oltre le culture.

Come si fa il dialogo? La relazione con l’altro richiede una distanza. L’estraneità si cala in una vita concreta, concreta come la vita, sua e mia. L’altro non sono io. Viviamo spesso di una identità tribalista, io e i nostri. Non è sempre facile lo sguardo da fuori, come se fossimo gli altri. Ma senza distanza, il dialogo si appiattisce, diventa uniformità, pensiero comune e banale. Distanza e contatto. Oltre la distanza ci vuole la relazione. Si entra in relazione in un rapporto di analogia, simili ma non identici, confronto senza appiattimento. Il che ammette l’opposizione, purché non sia escludente.

La ricetta non esiste. L’altro resta un problema, come io sono un problema; il dialogo è un problema e le soluzioni vanno faticosamente cercate.

Prendiamo l’apartheid. Ci sono due culture a contatto ma rigidamente distinte, ciascuna ha la sua vita, il proprio spazio, vive i propri tempi. Ambedue si salvano ma la loro è salvezza statica, che non ammette contaminazioni. La contaminazione è invece necessaria, le culture sono sempre meticce, isolate muoiono. Un uomo solo è sempre cattivo diceva Rousseau.

Il pluralismo culturale può essere pericoloso, rischia di essere una sommatoria di voci, non un concerto. Nel dialogo si estendono gli ambiti del riconoscimento, la propria identità fuori dal ghetto. Riconoscere lo straniero, “guardiamolo, guardiamolo in volto, guardiamo il volto diverso attraverso una capacità di penetrazione” (Levinas).

Il dialogo deve essere all’insegna di Giona, esemplifica Ernst Bloch. Giona fu mandato da Dio a Ninive, chiamato a convertire un popolo lontano. Giona non aveva voglia e si lamentava con Dio. Nel corso della navigazione verso la città peccatrice scoppiò una tempesta. I marinai attribuirono la colpa a lui. Per salvare se stessi lo buttarono in mare e lui finì nella bocca della balena. Vi rimase tre giorni. Furono tre giorni di ripensamento. Allorché venne sputato dall’animale sulla spiaggia era diventato un altro. Aveva accettato la differenza e poteva iniziare l’opera di conversione.

Todorov nelle sue peregrinazioni tra gli uffici aveva imparato a riconoscere gli stranieri; gli ebrei si distinguevano perché avevano uno sguardo triste. Il dialogo è uno sguardo, guardare per riconoscere l’altro. Tale è il problema filosofico di oggi.

Sintesi della relazione di Anna Elio Franzini
L’ALTRO SONO IO. UNA FILOSOFIA DEL DIALOGO
Bergamo, Auditorium Liceo Mascheroni, 25 marzo 2025 
all'interno del Programma Noesis 2024/2025

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