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Il sabato e la domenica porta qui gente, non oggi quando in compenso la strada è libera. Si moltiplicano le manifestazioni per attrarre. Sul tabellone luminoso davanti al comune di Ornica – 128 gli abitanti e dal cognome universale Milesi, stante alle lapidi del cimitero – è annunciato un raduno in Vespa (“da Casirate a Ornica”). Le strade sono pulite, le case in ordine. Chi ha la casa pagherà l’Imu ma con il tangibile risultato della quiete e di un posto ben tenuto.

Il paese è adagiato sul pendio che sale verso l’Avaro, il Passo Salmurano e il Pizzo dei Tre signori, a guardare la segnaletica per i camminatori. Scende il torrente Ornica che porta l’acqua al Brembo di Mezzoldo. Il paese si visita su scalette e stradine ben selciate, passando tra case, alcune dai severi portali in pietra, slarghi, qualche poggiolo in ferro battuto, panchine di legno dove mancano quelle di sasso, passaggi e sottopassaggi.

In uno di questi, nella parte più antica del centro storico, il porticato chiamato Pòrtec di Sancc (portico dei santi). Secondo il cartello, vi si seppellivano i morti più poveri del paese con impedimenti alle “bestie”. C’è il palazzo dei Gualteroni – unico cognome diverso, ma rilevante, nella storia del paese, come ho rilevato al cimitero. Il palazzo ha le finestre impreziosite da decorazioni e un affresco del patrono Sant’Ambrogio.

A Sant’Ambrogio è dedicata la Chiesa. Quando mi ero fermato a febbraio, ed era la prima volta, avevo incontrato il parroco. L’avevo visto seduto nel banco a pregare. Avvicinandomi all’altare per meglio vedere “la ragia”, “bella, eh!”  mi aveva detto, cercando conferma sulla macchina scenica montata in occasione del  Triduo dei morti; “in parrocchia c’è ancora qualche artigiano capace di montarla e ripararla”.

Nei due affreschi a lato dell’altare sono raffigurati episodi della vita di S. Ambrogio. Secondo il racconto del suo segretario Paolino, uno sciame di api si era posato sulla sua faccia mentre nella culla dormiva. Le api entravano e uscivano dalla bocca aperta senza turbare il sonno del piccolo. Fu visto come segno premonitore dello scrittore e oratore che sarebbe stato. L’altro quadro lo rappresenta davanti a Teodosio. Non aveva avuto peli sulla lingua nei riguardi del potente Imperatore romano tornato a essere sovrano d’Oriente e d’Occidente.

Il parroco mi aveva detto del Polittico del Baschenis nascosto dalla scenografia del Triduo. Né l’ho potuto ammirare oggi tolto per restauro. “Anche la sagrestia merita. Era li raccolta l’antica chiesa che in seguito hanno ampliata nell’attuale, in stile barocco”. Si rammaricava di non avere le chiavi per disinnescare l’allarme. Me l’avrebbe mostrata volentieri.

Milano fu presente a Ornica. Comandavano i Visconti che avevano rappacificato dalle contese sanguinose tra Guelfi e Ghibellini. Milano rimase con i preti inviati dalla Diocesi ambrosiana e oggi ancora nella liturgia e nei villeggianti.

Se le capita – mi aveva detto – faccia una capatina su, al Santuario della Madonna del Frassino”. La denominazione mi ricordava il Santuario della Val del Riso. “Il nome è uguale ma la storia è diversa. Fu costruito per iniziativa di un abitante incappato nei briganti e sfuggito miracolosamente. La costruzione al ‘600. “Ci sono tavole dipinte del Rosario, volute da una confederazione alla Madonna intitolata. Un gioiello di barocco”.  

Venezia si tenne cari gli ornichesi perché erano minatori, custodi di boschi e garanti del valico che comunicava con la Valsassina, la Valgerola e quindi la Valtellina.

Una parola sulla statua di San Luigi in legno. “Una rappresentazione insolita, da paggio più che da chierico. Sarà stata un’idea del parroco di allora – i primi del ‘900 – ma veritiera. Era al seguito dell’imperatore spagnolo Filippo II con il padre Gonzaga. Il padre, secondo gli obblighi della casata, se l’era portato a Madrid. Luigi aveva una grande preparazione culturale tanto da essere incaricato per un’orazione davanti alla Corte. Fattosi gesuita morì di pestilenza a Roma nel soccorrere gli appestati. Un esempio per i giovani di oggi”.

Allora nel ritorno in macchina avevo visto un falco, o poiana, non so, un’emozione per me. Disturbato si era spostato su un albero vicino, poi con pochi battiti d’ala era scomparso sull’altro versante.


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