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Care sorelle e fratelli,
sono decenni che la Diocesi di Bergamo non volta le spalle a coloro che arrivano da altri Paesi, altri Continenti, sospinti dal desiderio di una vita migliore o costretti da guerre, terrorismi, tirannie, dittature, persecuzioni, carestie, fame, povertà estreme, calamità naturali…

Molti sono arrivati percorrendo vie definite da leggi e regolamenti; altri percorrendo le vie del rischio, del pericolo, della fatica, dello sfruttamento, della sofferenza, della paura, dell’umiliazione, avendo come unico documento valido, quello della speranza di una vita migliore. L’accoglienza di tutti, ha assunto nel tempo e nelle forme, volti diversi: dalla risposta a bisogni fondamentali ed elementari all’avvio di processi di integrazione più completi e complessi, che hanno visto impegnati la Chiesa, la scuola, il mondo del lavoro e i sindacati, il volontariato spontaneo ed organizzato, le associazioni, il mondo dello sport…

Le istituzioni di governo succedutesi nel tempo, hanno condizionato in maniera decisiva l’esercizio dell’accoglienza, evidenziando un comune e persistente limite: quella di considerare le migrazioni come un’emergenza e non un fenomeno strutturale della nostra epoca affrontandolo più come problema di ordine pubblico che di ordine sociale.

Questo criterio ha alimentato diffusi sentimenti e comportamenti di incomprensione e rifiuto di quella che per la maggioranza è una temibile e temuta “invasione”. Anche in Paesi europei, con tradizione e modelli di integrazione più consolidati del nostro, questo sentimento e le conseguenze che alimenta sono ampi e radicati. A fronte di questo clima, la solidarietà che caratterizza profondamente la nostra cultura e i nostri comportamenti, ha espresso tutta la sua capacità organizzativa e l’umanità che ci contraddistingue. Organizzazione e relazione, sono stati due dimensioni dell’accoglienza sul nostro territorio, che in molti casi hanno generato dinamiche virtuose di riconoscimento e di inserimento nel nostro tessuto sociale. Sotto questo profilo, un grande contributo è stato offerto dal mondo della scuola e dal mondo del lavoro. La complessità del fenomeno esige ben altre rappresentazioni e approfondimenti. Con questo scritto desidero soffermarmi sulla “prima accoglienza” di coloro che giungono nel nostro Paese senza permessi regolari. Nel corso di questi due decenni, ho assistito a diverse fasi di queste particolari migrazioni e, insieme alla Diocesi in tutte le sue articolazioni, ho condiviso le risposte che sono state offerte. In particolare ricordo gli imponenti numeri a partire dal 2014; quindi il succedersi di emergenze come quella siriana e dei paesi del Maghreb; quella Afghana, dell’Africa centrale da est a ovest, fino a quella Ucraina, con caratteristiche del tutto particolari.

La diocesi di Bergamo, in tutte le sue articolazioni, centrali e parrocchiali, ha continuato a testimoniare la scelta di un’accoglienza convinta e condivisa. In forme nuove, continuiamo ad esprimere nella concretezza dei gesti e dei giorni il comandamento evangelico dell’ospitalità. In questi anni abbiamo fatto appello alle comunità parrocchiali, che in modo particolare per l’emergenza ucraina, hanno corrisposto alle necessità con una generosità che conferma i nostri valori e le nostre ispirazioni.

Ora siamo raggiunti da nuovi arrivi: permangono criteri e disposizioni del tutto inadeguati al fenomeno e provvedimenti che rendono sempre più difficile l’accoglienza assumendo caratteristiche sempre più restrittive. A fronte di questi nuovi consistenti flussi in arrivo sia dal mare che dalla cosiddetta “rotta balcanica”, la Caritas diocesana, ha disegnato e praticato nuove forme di risposta.

  1. Il servizio di collegamento tra le Istituzioni pubbliche e strutture, in gran parte di comunità religiose, compreso il nostro seminario, che hanno ospitato e ospitano migranti, con una gestione affidata a cooperative aderenti ai bandi della Prefettura.
  2. La predisposizione di un centro di accoglienza, con alcune decine di posti, per accompagnare i primi passi di coloro che vengono distribuiti ad ogni provincia. Questo centro viene gestito direttamente dalla Caritas diocesana, attraverso la Fondazione Diakonia, senza partecipare ai bandi indetti dallo Stato.
  3. Infine, la promozione dell’accoglienza diffusa nelle nostre comunità parrocchiali, alle quali rivolgo il mio convinto e sentito appello. Sono consapevole di quanto le comunità hanno operato su questo fronte; consapevole pure delle fatiche e delusioni che possono determinare un sentimento di rinuncia. Sono anche confortato dalla generosità comunitaria, che riscontro anche attraverso la mia visita alle parrocchie in forma di Pellegrinaggio pastorale.Proprio per questo chiedo ancora una volta l’apertura del cuore delle nostre comunità, dei sacerdoti e delle persone che, sostenute dalla Caritas diocesana, possono manifestare la loro solidarietà accogliente.

Il mistero del Natale rinnova nella comunità credente la consapevolezza di testimoniare la luce di Dio nella persona di Gesù, accogliendolo nei fratelli e sorelle che bussano alle nostre porte. “Non possiamo voltare le spalle a chi mette a rischio la propria vita per cercare speranza e dignità Come il buon samaritano, siamo chiamati a farci prossimi di tutti i viandanti di oggi, per salvare le loro vite, curare le loro ferite, lenire il loro dolore. Riconoscente per l’attenzione che porrete a questo appello, vi benedico.

+ Francesco, vescovo

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