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Salire sul Torrazzo per vedere dall’alto la città di Cremona. L’ultima volta eravamo arrivati in giorno di mercato. Sembrava una profanazione, quella bella piazza occupata da bancarelle fino sulla soglia del luogo sacro per eccellenza. Era però il miscuglio di sacro e profano che caratterizzava l’epoca medievale, la gente del contado che veniva nella città dei signori, i padrùn, per vendere e comprare il poco di cui disponeva. Guardare era già godere, attratti da voci suadenti.

Ho visto dall’alto il percorso fatto dopo aver lasciato la macchina sulla strada per Mantova, fino a Porta Venezia e poi l’imbocco di Corso Matteotti, antico decumano romano che incrociava perpendicolarmente, il cardo, la via al Po, all’altezza dell’attuale piazza del Comune.

Ho chiesto il nome delle due chiese, una accanto all’altra. Che strano? Ma un signore anziano mi ha risposto: “la frequento ma non so il nome”. E’ la Chiesa di S. Abbondio. Nel tardo Rinascimento è stata inglobata una Casa di Loreto. Colpisce l’esuberante fattura manieristica e vi ho trovato i Campi, Giulio e Galeazzo, appartenenti ad una famiglia di pittori e decoratori cremonesi molto attivi sul territorio come da noi i Baschenis nel Seicento. Chiesa e Casa erano parte del convento annesso, prima benedettino poi degli Umiliati infine dei Teatini.

Sulla salita della imponente torre campanaria medievale, alta 112 metri, mi precede un attento visitatore cinese. Si prende fiato sostando in sale allestiti a più livelli come Museo in verticale, dove è illustrato il significato del tempo e la sua misurazione, un modo per dar valore al magnifico orologio della facciata del Torrazzo, forse il più grande del mondo, che doveva lasciare stupefatto il visitatore di allora. Con il meccanismo che si carica quotidianamente e muove le lancette delle ore e i rintocchi dei colpi di campana si indicano le lunazioni, gli equinozi, i solstizi, i mesi, il tutto accompagnato dalle colorate illustrazioni dei segni zodiacali.

Da lassù si gode la città e il primo sguardo è alla piazza, oggi semideserta. Sembrano assenti i turisti stranieri per una città che merita. Risalta la costruzione ottagonale del Battistero del 1167, coevo della torre, costruito per sottolineare il passaggio alla nuova fede.

Del Duomo si ammira l’elegante facciata, con il gioco di colori del marmo, il leggero colonnato, le doppie loggette, il rosone centrale, le statue, i due leoni che reggono le colonne dell’entrata prese d’assalto dai bambini. Entrando si è soggiogati dall’abbondanza e giustapposizione di strutture architettoniche, stili, sculture, affreschi e tele. Costringe a procedere lenti e rispettosi. Il duomo è dedicato a Sant’Omobono, mercante e uomo di pace tanto desiderata in tempi turbolenti e di lotte intestine nella Cremona del XII secolo. La sua festa è il 13 novembre.  

Con la Lega dei comuni lombardi Cremona fu contro il Barbarossa, poi con il Barbarossa contro Crema, e ancora con l’imperatore Federico contro Milano. Fu guelfa o ghibellina secondo il prevalere delle famiglie, fino all’ascesa dei Visconti. La sua prosperità era dovuta all’ubertosa campagna circostante e alla posizione geografica, posta com’era sulle vie di comunicazioni e quella del Po in particolare.

Dalla sommità risuona il frastuono delle cicale che hanno trovato il luogo ideale di competizione. Stradivari avrebbe saputo trasformare in armonie musicali quell’ininterrotto frinio dell’insetto considerato nella favola un fannullone. Mi rimanda alle mie estati di ragazzo. Me ne vado prima di mezzogiorno per non essere colto dagli assordanti rintocchi, che invece affrontavo coraggiosamente nei giorni di festa del mio paese quando salivo sul campanile con il sagrista per privilegio di chierichetto. Bisognava stare attenti, tenersi in parte, non guardare giù, su scale senza ringhiera, almeno per un pezzo. Lassù sotto le campane legate stava il campanaro a battere sulla tastiera dell’allegrezza. Dopo il  piatto di marubini, tipico del cremonese, andiamo al Po. E’ in piena dopo gli acquazzoni dei giorni passati. La corrente appare una forza inarrestabile, un silenzio che incute più che rispetto, a volte uno sciacquio, l’inquieto ribollire dell’acqua, di vortici che appaiono e scompaiono. Arbusti, piante di pioppo e di salici dalla riva si inchinano al passaggio del grande fiume. Nel parco vicino i ragazzi in bicicletta e a piedi scorrazzano in libertà.


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