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I cani del tempo. Filosofia e icone della pazienza. Lezione di Andrea Tagliapietra

La vita è breve (bakùs), l’arte è lunga, l’occasione fuggevole, l’esperimento pericoloso, il giudizio difficile”, così Ippocrate. Nell’Iliade Achille frustrato nel contrasto con Agamennone va sulla spiaggia e piange davanti al mare “in-attraversabile” (àpeiron) o senza sponda per i Greci che chiamavano il mare pòntos, da cui il latino pons ponte, e quindi lo conoscevano da sponda a sponda. “Il tempo procede secondo il numero, movimento secondo il prima e il dopo” (Aristotele), o “è come corrente inarrestabile di fiume” (Ovidio). Frammenti che danno la sensazione del tempo.

Il tempo si dice per concetti, meglio con immagini. I concetti afferrano (cum-capere), le metafore evocano (pròsperon, davanti agli occhi). Il tempo è nel vissuto, in noi che cerchiamo il senso: “Il tempo è la sostanza di cui sono fatto, il fuoco che mi divora e io sono il fuoco” (Borges). Il cielo stellato, diceva Feuerbach, è parte di noi: gli uomini lo guardano non da astronomi ma lo interrogano per i loro sogni o desideri, angosce o necessità, come naviganti in cerca dell’orientamento. Tutto trasformiamo in senso, anche il non-senso. Il non senso è un allotropo, stessa struttura in diversa forma, come il graffite e il diamante. Battezziamo tutto, anche le cose che non hanno senso.

Abbiamo bisogno di immagini per il tempo; ma cos’è l’immagine? L’immagine ci restituisce il nostro sguardo lo specchio. Tanti si sono chiesti chi sia quel vecchio dalla barba bianca che di solito è ricondotto all’autoritratto di Leonardo? Forse non è lui, comunque è un individuo ben definito. Il bravo ritrattista, dice G. Simmel, non è chi ci mostra l’anima o l’invisibile ma chi coglie quello che di solito passa inosservato. E’ lì davanti ai nostri occhi ma non siamo capaci di vederlo. Il ritratto mostra la singolarità.

Perché “cani del tempo”? Si può pensare ai cartoni animati, che sono mitologie del nostro tempo. Pensiamo alla saga dei Toy Story, animali che si muovono, parlano, agiscono e di tanto in tanto si fermano e ci guardano, come per dire  “voi animali come noi”. Noi come loro, nella singolarità che appartiene a noi come a loro. Possiamo sostituire il nostro cane? Assolutamente no, è unico, con il suo carattere come noi abbiamo capelli, occhi, altezza, andatura, difetti propri. Troppe volte i filosofi hanno ridotto l’uomo a pensiero, ad un pensiero costruito, voluto, artificioso. In realtà i pensieri vengono, capitano, come le malattie; la malattia, diceva Virginia Woolf, produce pensieri.

Spesse volte nei ritratti il cane si accompagna all’uomo. La Duchessa d’Alba è ritratta da Goya con il barboncino dal fiocchetto rosso come il suo. Jacopo Bassano dipinge due bracchi chiazzati, in familiarità coi cani. Turner mostra nell’alba che sorge e il mare che si apre un cane sulla spiaggia, forse sopravvissuto. Tutti unici, come è caratteristica dell’immagine. Così i due cani del Veronese in Le Nozze di Cana, dove il tempo è richiamato dalla clessidra e dai tre musicisti che hanno le sembianze dei massimi pittori della Scuola veneta, Tiziano, Giorgione, Jacopo Bassano, perché l’arte come la musica va oltre il tempo.

Cos’è il tempo? Cosa c’entra il cane? Di solito per l’etimologia di tempo si risale al greco temno (separo), indica uno spazio percorso, un tempo cronologico; oppure da tempora, le tempie, e indica il battito sanguigno (tam tam tam), un tempo iscritto nel corpo, il tempo vissuto.

In Sant’Agostino di Carpaccio c’è un cagnolino, attento come il suo padrone impegnato nella stesura dell’ennesimo libro, e ambedue sono rivolti verso la finestra. Si tratta dell’apparizione di Sant’Ambrogio che sale al cielo, mentre la clessidra si è svuotata e indica un tempo compiuto o meglio completato, realizzato, il tempo dell’anima: “è in te anima mia” dice lo stesso Agostino “che io misuro il tempo”.

Il tempo richiama la pazienza. Non quella subìta (pathos), quella di solito raffigurata nelle allegorie come donna incatenata, in attesa di essere liberata, perciò dipendente da altri. La pazienza invece deve essere attesa attiva. I filosofi detti cinici si rifacevano all’animalità del cane perché vivevano dell’indispensabile, soddisfatti dei loro bisogni primari, anche fatti in pubblico, senza vergogna nonostante il biasimo generale. Diogene il Cinico è colui che dice al grande Alessandro, venuto a conoscerlo, “spostati dal mio sole”. Lo stesso Alessandro avrebbe poi detto “se non fossi Alessandro vorrei essere Diogene”.

Cani leggendari come Argo, il cane di Ulisse, invecchiato e pieno di zecche che sul letame giaceva sul letame e le ancelle non se ne curavano. Dentro aveva ancora energia, l’ira trattenuta della cagna pronta a difendere i cuccioli. Un cane si accompagna al giovane Tobia del racconto biblico. Ha il padre cieco, un giusto ingiustamente condannato per il suo gesto di carità verso i morti che aveva sepolto. Si tratta di andare alla ricerca dell’unguento miracoloso capace di guarire il vecchio genitore. Dopo le tante peripezie giungono a casa, il vecchio è guarito e il cane si trasforma nell’arcangelo Raffaele, nome che significa “Dio guarisce”.

La pazienza in ebraico è savlanùt, sopportazione, attesa. Il Cristianesimo lo tradurrà in “speranza” che cambia un po’ il significato, è questa un’attesa di qualcosa di certo, che arriverà; savlanùt è un’attesa di semplice abbandono al presente, come l’animale che vive nella disponibilità delle cose, senza calcoli. La pazienza per noi è segno di serenità della vita vissuta in pienezza, essere umani in simbiosi con la nostra animalità.

Bergamo Liceo Mascheroni, 12 dicembre 2023

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