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Può un libro cambiare la vita in chi lo legge? Tendenzialmente credo di sì anche se è necessario fare alcune precisazioni visto che, ogni anno, escono davvero tante produzioni editoriali aventi questa nobile finalità ma, alla fine, raggiungono “solo” l’obiettivo di rendere l’esistenza, soltanto momentaneamente, un po’ più piacevole. Certamente anche questo risultato ha un grande valore sociale, tuttavia, le sfide che la vita lancia sono così intense e a volte drammatiche che il nostro cuore non è mai sazio di cercare risposte ed è per questo che, anno dopo anno, gli scaffali delle librerie, sia fisiche che digitali, continuano a riempirsi senza sosta di novità.

Se ci pensiamo bene qual è la dimensione umana più intima e, allo stesso tempo, più misteriosa che caratterizza le nostre esistenze? Il cuore e, al di là della descrizione che se ne può fare dal punto di vista strettamente fisiologico, rimane ancora oggi quella dimensione dell’esistenza umana più misteriosa e ricca di fascino. Ecco perché può capitare che, leggendo un libro e trovandosi di fronte ad alcune parole, scatti dentro di noi qualcosa di profondo e radicale che ci permette di cambiare punto di osservazione sulla nostra vita introducendoci, così, ad una nuova prospettiva sui noi stessi. Una semplice parola può avere così l’effetto di entrare nella nostra carne e iniziare a cambiarci in modo così radicale e inaspettato al punto di ritrovarci, quasi per magia, più aperti verso il mondo che era sempre stato lì, di fronte a noi, ma che comprendiamo inconsciamente di non averlo mai visto realmente.

Solo chi ha fatto questa esperienza potrà riconoscersi in questa dinamica ed è per questo che i libri che veramente possono cambiare la vita sono, a mio avviso, quelli scritti da “autori cambiati” perché nulla convince di più come quando si prova a comunicare questa esperienza al di là dello stile narrativo con il quale si prova a farlo. Tra questi testi c’è quello di Don Davide Banzato dal titolo provocatorio “Tutto ma prete mai” (il link alla scheda) perché è la storia di un uomo al quale è accaduto qualcosa di ordinario e straordinario allo stesso tempo che, da un certo punto di vista, ha potenziato la sua umanità consentendogli di vedere, ascoltare e sentire la realtà che lo circonda in modo nuovo. Poniamo così a Don Davide alcune domande:

Da dove nasce questo titolo?

Si tratta di una frase che ho gridato verso il Cielo quando sono uscito dal seminario minore: «Dio, adesso voglio vedere se esisti davvero. Farò tutto il contrario di quello che mi hanno insegnato. Farò quello che voglio io. Se esisti sentirò la tua mancanza. Se starò bene significa che tu non ci sei e che posso decidere io cosa è bene e cosa è male per me». E ho aggiunto: «Tutto ma mai prete! Potrei fare tutto nella vita, ma ti giuro, mai farò il prete!». Era un giuramento solenne. Ero serio e risoluto. Il seminario, come tutte le realtà, è fatto da persone e sono queste a fare la differenza. In quegli anni ho ricevuto ferite, ma anche doni. Da là è iniziato un inferno personale. Attendevo il weekend perché là smettevo di pensare. In gruppo facevamo la spesa e preparavamo tutto in una casa libera di un amico. Era un delirio. Tra le note di Ohi Maria degli Articolo 31, c’erano birra, vodka e spinelli. Alcuni ragazzi sono arrivati a usare la cocaina e altri giocavano con le sedute spiritiche. Mi ha sempre salvato la paura, per cui a un certo punto preferivo uscire e restare solo in disparte con una birra in mano. Non ho mai fatto cose estreme ma mi sono trovato spesso sul filo del rasoio, in quei bivi della vita in cui basta fare una scelta sbagliata una sola volta per non avere più il biglietto di ritorno. Su questo penso di aver beneficiato di una mano in testa dall’alto e del frutto di quanto la mia famiglia mi ha trasmesso, anche se a volte non basta. Ero entrato in quel giro di idee in cui si pensa che quel che un tempo si chiamava peccato in realtà fosse divertimento o al massino esperienze da fare. Il ghiaccio aveva ingoiato il mio cuore e le tenebre la mia anima. Anche se in apparenza non lo davo a vedere, dentro di me stavo malissimo. In apparenza potevo anche fingere, ma dentro avevo una disperazione e un non senso mai provati. Davvero il frutto del peccato è la morte, la morte dell’anima. Non serve compiere atti gravi, è sufficiente chiudere il cuore a Dio e dentro si muore.

La sua esperienza parla di un uomo il cui cuore è stato conquistato da Dio; cosa vuol dire per lei avere un “cuore indiviso”?

Il celibato è un’anticipazione della condizione del Regno dei Cieli e una scelta di totale dedizione al servizio di Dio. Ma bisogna stare attenti a non estremizzare troppo, perché anche uno sposato potrebbe essere tutto di Dio e dovrebbe mettere al primo posto Dio nel cuore. Quando sento parlare di “cuore indiviso” – pur comprendendone il senso – mi sembra si possa facilmente scadere in uno spiritualismo che va contro il principio dell’incarnazione scelto da Dio. Nella concretezza della vita quotidiana nessuno ha un cuore indiviso. Tutti amiamo alcune persone più di altre. Gesù uomo ha avuto amici più stretti e rapporti diversi preferendo alcune relazioni personali. Il cuore indiviso esiste solo in astratto nel mondo delle idee. Il cuore ama sempre persone concrete con un nome e un cognome. Chi dice di amare tutti ma non ama qualcuno nel concreto, in realtà non ama nessuno. Maria e Giuseppe da sposi sono il modello della consacrazione tanto per i religiosi o i sacerdoti celibi quanto per gli sposati. Nessuno più di loro aveva Dio al primo posto nel cuore, cercavano di vivere solo la volontà del Signore, riuscendo ad amare Dio e amandosi tra di loro. L’amore non è schematico né matematico, non si può incasellare nelle funzioni o nelle parcellizzazioni. L’amore non ha confini, può sempre espandersi e includere. Sicuramente se io fossi sposato non potrei dedicare il tempo che oggi dedico alla mia missione, perché avrei dei doveri diversi da armonizzare, ovvero una vocazione nella vocazione. Penso ai fratelli ortodossi o agli altri riti della Chiesa cattolica in cui sono ammessi sacerdoti sposati. Si tratta di un tema complesso che non mi azzardo a trattare banalmente. Riconosco il valore e il grande significato che il celibato ha nella Chiesa e per me non dovrà mai venire meno. Ma partire dal dato concreto che si tratta di una scelta contro natura e che, come diceva san Giovanni Paolo II, si tratta di un carisma, ovvero di un dono, mi ha aiutato nel cercare di viverlo al meglio delle mie possibilità.

Il potere delle parole, positive o negative, è quello di “entrare nella nostra carne” e generare delle conseguenze e questo vale anche per la relazione tra Dio e l’uomo al punto che la Parola si è incarnata ed è diventata storia: in quali relazioni vive il rapporto con Gesù vivo e incarnato anche oggi?

Penso subito al documento di Aparecida che ha ispirato anche Papa Francesco per Evangelii Gaudium e in particolare all’opzione preferenziale per i poveri. San Benedetto da Norcia nella sua Regola scrive che spesso lo Spirito Santo parla attraverso l’ultimo arrivato. Per questo sono molto legato all’espressione di Sant’Agostino “Timeo Domine transeuntem”. Il Signore passa accanto a noi ogni giorno e ci parla e possiamo perderci questi incontri unici. A me ha sempre parlato molto ascoltando i ragazzi, con le loro storie di vita, con i loro vissuti, con le loro intuizioni condivise ogni mattina nella meditazione del Vangelo in comunità, nell’incontro fattivo durante l’evangelizzazione di strada o nelle scuole. Le presenze vere e reali di Cristo sono tante e diverse, le ha indicate Lui stesso nel Vangelo: nei piccoli, nei poveri, ogni volta che facciamo del bene ad un piccolo, ogni volta che visitiamo un carcerato, un malato, un povero; poi sicuramente dove due o più sono uniti nel Suo Nome, dunque nell’unità, nella comunione, nella preghiera del cuore; sicuramente in tutti i sacramenti e nella Chiesa dove permane e prevale lo Spirito di Cristo… e poi in modo eccezionale, oltre che in presenza vera e reale anche sostanziale, nell’Eucarestia. Ogni giorno è possibile incontrare Gesù Risorto se abbiamo occhi e cuore aperti. E’ il senso con cui ho scritto questo libro come confessione e condivisione pubblica Raccontando la mia storia ho cercato di mostrare quali passaggi, indicatori e criteri sono stati per me determinanti nel prendere contatto con la mia anima e mi hanno concesso di crescere cercando di comprendere cosa Dio mi chiedeva. I treni che ho saputo cogliere mi hanno portato dove sono ora, riuscendo a intuire dietro ad apparenti casualità un filo d’oro e segnali dal Cielo. Mi auguro che in qualcuno si accenda il desiderio di scandagliare all’interno del proprio cuore e della propria storia, decidendo di abbassare i volumi dell’assordante confusione che costantemente soffoca la voce dello Spirito. Proprio come per il segnale Wi-Fi, ciascuno di noi ha la potenzialità di “connettersi” con Dio ovunque si trovi. La password è inscritta nella scintilla divina che ci caratterizza. La linea è free e la connessione stabile si chiama preghiera del cuore: se si arriva a viverla costantemente, allora la Sua Grazia d’Amore può operare miracoli in noi e attraverso di noi. Basta aprire il cuore. Basta allenare i sensi spirituali atrofizzati. Come per ogni autentica disciplina è un po’ fati- coso all’inizio ma è davvero indispensabile. Se mi espongo così tanto raccontando di me è perché c’è in ballo la nostra felicità. Spero che per tanti queste pagine possano davvero segnare una svolta per iniziare o ripartire. A chi volesse poi approfondire un percorso che parta dai primi passi nella preghiera fino alle alte vette dello spirito, consiglio come strumento un libro che amo molto, scritto da Chiara Amirante: Dialogare con Dio.


Nel ringraziare per le risposte fornite mi permetto di chiudere ricorrendo ad una metafora nautica per descrivere il valore di questo libro: avvolte gli imprevisti in mare ci invitano a modificare la direzione di navigazione della nostra “barca” di soli 3 gradi a dritta o 3 gradi a sinistra e questo, che potrebbe sembrare un piccolo e insignificante cambiamento, alla fine può condurci dopo cento miglia in un’area diversa della nostra mappa della vita e avere l’opportunità di ritrovare sul fondale del nostro cuore un antico tesoro sommerso. Ecco perché non vi auguro buona lettura ma buona navigazione con Don Davide.

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Autore

Alessandro Grazioli

Marito e papà di 4 bambini, laureato in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano, Business Unit Eticapro, Consigliere Comunale, scrittore di libri per l'infanzia, divulgatore e influencer sociale su Socialbg

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