Nella nota fiaba di Collodi, il Grillo parlante è uno dei personaggi tra i più assennati: si presenta dinnanzi a Pinocchio come una voce saggia e di buon senso, rimprovera il vivace burattino per i suoi comportamenti sbagliati, lo mette di fronte alle sue responsabilità e, anche dopo essere stato ucciso, ritorna a farsi sentire, cercando di indirizzarlo verso la maturità, per distinguere il bene dal male.
Il Grillo parlante costituisce dunque la voce della coscienza e la sua figura, altamente simbolica, ha il compito di indicare le strade da percorrere e le scelte da effettuare nelle varie fasi della vita, ma anche di comunicare le cose sgradevoli e difficili da accettare, connesse ad azioni sbagliate. Il Grillo parlante, però, è un essere piccolo e indifeso, la cui esistenza è assai precaria: suggerisce, ma non impone, e può essere azzittito, come fa Pinocchio schiacciandolo contro il muro, dopo avergli tirato contro un martello. È la morte della coscienza. Ma poi ritorna sempre, quando meno ce l’aspettiamo.
Il Grillo parlante costituisce dunque la voce della coscienza e la sua figura, altamente simbolica, ha il compito di indicare le strade da percorrere e le scelte da effettuare nelle varie fasi della vita, ma anche di comunicare le cose sgradevoli e difficili da accettare, connesse ad azioni sbagliate. Il Grillo parlante, però, è un essere piccolo e indifeso, la cui esistenza è assai precaria: suggerisce, ma non impone, e può essere azzittito, come fa Pinocchio schiacciandolo contro il muro, dopo avergli tirato contro un martello. È la morte della coscienza. Ma poi ritorna sempre, quando meno ce l’aspettiamo.
È facile uccidere il grillo, se lo si cattura, lo si isola dal contesto, mettendo così a nudo la sua fragilità e facendolo tacere per sempre. Ma nessuno è in grado di far tacere un prato di grilli canterini in festa nel tardo pomeriggio di una calda giornata in primavera avanzata, quando gli ultimi raggi del sole trasmettono ancora un po’ di calore, prima che la grande palla dorata si corichi nel cielo dietro al Resegone. Rimango ad ascoltarli, nel prato dietro la stalla dei vitelli, mentre procedo ai vari lavoretti di pulizia e riordino del ricovero dei bovini, anch’essi desiderosi di uscire al pascolo. Ascolto uno straordinario concerto di voci bianche che fanno vibrare il prato colorato da fiori di tarassaco, ciuffi di botton d’oro, margherite, nontiscordardime e molte altre infiorescenze. Un leggero venticello di tramontana scende nel frattempo dal Canàl de la Brösàda e da Piassacà, accarezzando i filamenti della tenera erbetta, sollecitata come una bandiera, sotto la quale, ben nascosti, i grilli canterini esultano e cantano la gioia della nuova stagione: annunciano il prossimo taglio – tra qualche settimana – del maggengo, quando l’erba si presenterà dorata, e invitano gli altri insetti del prato ad affacciarsi alla nuova luce. È solo l’inizio del tripudio della fienagione. La natura non smette mai di stupire e al grillo ha dato la facoltà di produrre un suono delicato e graffiante allo stesso tempo, forte e deciso, decisamente impressionante rispetto alla minuta corporatura del nostro cantante, un vero protagonista sulla scena dei prati in primavera. Non una nota fuori posto e i suoni emessi da quello straordinario coro polifonico si sovrappongono formando un sottofondo musicale “a gratis”, per usare il frasario di Philippe Daverio.
Dal Grillo parlante di Pinocchio ai Grilli cantanti dei prati in fiore dell’Alta Valle Imagna il passaggio è breve, come dalla favola alla vita, quella vera, di tutti i giorni. Il cicaleccio dei grilli sul far della sera, come il cinguettio degli uccelli sul nascere del giorno, prima ancora che il sole si risvegli e alzi la testa da fò de drì a San Piro, stimolano un approccio sensoriale e spirituale con il mondo circostante. Non conosco il linguaggio dei grilli e non so cosa abbiano da raccontarsi tutte le sere, ma li sto ad ascoltare volentieri, perché mi trasmettono sensazioni di pace e serenità, rinascita e libertà. È il canto del mio Venticinque aprile. Interrompo i lavori nella stalla e salgo nel prato, anzi mi avvicino sempre di più al centro di quello straordinario concerto, cercando di scovare tra l’erba alcuni Grilli cantanti, ma tutto il tappeto erboso è in festa e sento la terra che calpesto coinvolta da una magica vibrazione. Mi chiedo quanti cri-cri emetta durante questa serenata uno solo della moltitudine dei grilli maschi che popolano il prato, per attirare le femmine e accoppiarsi. Ritorno immediatamente sui miei passi, per non alterare quella spettacolare azione della natura, mentre annuncia a gran voce la sua rinascita stagionale. Mi sento come dentro una grande colonna sonora, dalle dimensioni universali e cosmiche, che richiama realtà d’altri tempi, inserite in un continuo processo rigenerativo che si tramanda da secoli e permea il vissuto di generazioni di valligiani. Paesaggi sonori che fanno vibrare anche le corde dell’anima, trasmettono emozioni e risvegliano sentimenti che parevano assopiti, spenti nel marasma dei tanti impegni giornalieri. Resto immobile, solo, nel mezzo del prato, mentre col telefono cellulare tento di registrare quel particolare concerto spontaneo. Scopro di essere l’unico fortunato spettatore. Mi sembra persino di comprendere il linguaggio antico dei grilli e di essere riuscito, in qualche modo, ad entrare in sintonia con il loro mondo. Percepisco che, ascoltando il canto dei grilli, come il cinguettio degli uccelli o lo squillìo dei campanacci delle vacche al pascolo, sto ascoltando il canto del mondo intero. Canti d’amore e di libertà, ma per comprenderli e partecipare al loro concerto è necessario ritornare alla terra.
Il canto dei grilli mi riporta anche al mondo della mia infanzia, nel prato sö la Còsta de Canìt, mentre nella memoria affiorano cantilene, storielle e filastrocche acquisite nella grande famiglia del nonno, ciascuna delle quali con forti e precisi legami con la realtà e la vita quotidiana. Gli adulti, veri maestri di vita, insegnavano ai bambini, anch’essi occupati nel prato con i rastilì durante la fienagione, a catturare i grilli, sollecitandoli con una pagliuzza a uscire dai loro buchi del terreno, canticchiando questa filastrocca: Gri gri ì a la pòrta / Che la tò mama l’è mòrta / Che ol tò pare l’è en prisù / Per ü grà de formentù. I bambini più intraprendenti, poi, ne rinchiudevano alcuni in diverse insenature murarie della stalla delle vacche, quindi protetti e alimentati sino all’inverno successivo quando, risvegliati dal calore di quell’ambiente, allietavano i presenti con il loro canto, anticipando così il richiamo alla bella stagione, che nei mesi successivi avrebbe provocato la rinascita dei prati.
Comprendo il nesso tra i grilli canterini del prato e il Venticinque aprile, festa della Liberazione nazionale: è riposto nella primavera e nella rigenerazione sociale. La natura vive una situazione di passaggio, dalla cattiva alla bella stagione, richiamando in un certo senso il passaggio da una condizione sociale conflittuale, di guerra, alla fase successiva di democrazia e pace. La natura cambia vestito, la società si evolve in continuazione e con sempre maggiore accelerazione. Non ci sono più vittorie consolidate da celebrare, ma conquiste quotidiane di democrazia e civiltà da vivere. Il canto dei grilli è irrefrenabile quando si attiva, è il movimento di popolo, poiché le idee e i sentimenti non si possono comprimere e, quando assumono una dimensione organizzata, possono raggiungere grandi traguardi. Il canto dei grilli ci introduce nell’ordine superiore del Creato e stimola sensibilità e consapevolezza di fronte alle responsabilità di governo del territorio, così da preservare le espressioni più autentiche della natura, che coincidono con la nostra esistenza. I grilli canterini dei prati di montagna ci stimolano a uscire dall’individualismo, per costruire nuovi scenari di vita collettiva, ci insegnano a comunicare e offrono un prezioso spunto per ricercare e ottenere ciò che effettivamente desideriamo. Quei piccoli e curiosi animaletti, dotati di preziose “antenne” per comunicare e “scudo” per proteggersi, sono un’esplosione di gioia e cantano la liberazione della natura dalla cattiva stagione, esultano per la nuova resurrezione. Le vecchie idee fanno spazio alle nuove, il caldo caccia il freddo, l’erba fresca si sostituisce al fieno, mentre la vita degli animali, da reclusi nella stalla, si trasforma in libertà all’alpeggio. I cambiamenti della natura evocano quelli della società umana, all’interno delle famiglie, nelle rispettive contrade. Al canto corale dei grilli affianchiamo la nostra canzone di vita, che nasce e si sprigiona a Pasqua, in primavera, il Venticinque aprile… un periodo ricco di fermenti sociali. Anch’io, pur nella solitudine della mia condizione, canto l’inno alla nuova vita assieme ai grilli del prato. Li sento parte di me stesso, una componente importante della rappresentazione sociale e ambientale di chi scrive. Ma chi ascolterà il nostro canto? O grido… Come fanno i grilli, anche noi dobbiamo riprendere a cantare, per stare meglio insieme e continuare a sognare! Quel sogno che, ormai sessantenni, abbiamo incominciato a costruire quarant’anni orsono, trasmessoci dalla generazione dei nostri padri che hanno vissuto l’immediato secondo dopoguerra. Ecco il nesso che cercavo: i grilli canterini del prato ci stimolano a continuare a pensare alla grande, a continuare a cantare insieme, per costruire nuovi scenari e ricercare diversi equilibri nelle azioni della nostra vita quotidiana, personale e collettiva, in continuità con la nostra storia sociale. Sempre avanti, dunque. Adelante!…