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Al cimitero di Rossino (frazione del comune di Calolziocorte) è sepolta la cantante lirica Mafalda Favero Signorelli. Di fama internazionale, una carriera invidiabile. Ha calcato i palcoscenici famosi, dal Metropolitan al Covent Garden di Londra, con cantanti come Beniamino Gigli, Mario del Monaco e Giuseppe Di Stefano. Nel 1947 fu chiamata per il concerto di riapertura della Scala sotto la direzione di Arturo Toscanini.

Una signora che sta curando la tomba dei suoi cari mi dice di Mafalda Favero Signorelli quando veniva in vacanza nella Villa. Persona dolce e alla mano. Un giorno la trovò in vestaglia alle prese con coltello e anguilla ancora guizzante, a tagliare la testa. Doveva cucinarla per gli ospiti. Il coro lirico di Rossino è intitolato a lei.

A Rossino veniamo per il Museo e la Vecchia chiesa. Ripetutamente ampliata su un’antica cappella lombarda quando Rossino era crocevia di strade importanti e metteva in comunicazione comunità e monasteri, tra Pontida e Civate, al di là del Lago.

Legata al santo martire Lorenzo, detto il “santo dei poveri”. Ritenuto il cassiere della comunità ecclesiale, si narra che gli fosse stato richiesto di cedere, oltre che la fede, il tesoro di cui era in possesso. Raccolse prontamente i poveri che aiutava e li presentò al tiranno con queste parole: “ecco il mio tesoro”.

Nella chiesa sono stati ricuperati dipinti di varie epoche, nella vivacità dei colori, con il rosso dominante. Ci sono diverse immagini di Lorenzo, gli evangelisti, i dottori canonici della Chiesa, la Crocifissione, una Pietà e, sulla volta, un Cristo pantocrate dentro la mandorla, che è tipica rappresentazione, presente anche in altre religioni, a simboleggiare la vita.  

La struttura della chiesa risale al Quattordicesimo secolo. Gli affreschi sono stati salvati in parte dal degrado e dalle infiltrazioni di acqua. Si era dato da fare il Parroco Don Mariano, come per il Museo che cercava sempre di arricchire. A lui dobbiamo la sistemazione dell’attuale ricco patrimonio culturale e artistico, custodito così e reso accessibile. Si tratta di arredi, quadri, reliquari, calici, intarsi, stendardi, paramenti, una raccolta iniziata da Don Carlo Villa nell’Ottocento, a cui il Museo è intestato.

Il Museo è frequentato. Proprio la domenica precedente, una comitiva giunta da Bergamo e partita da Vercurago, aveva fatto tappa al Museo. Uno scroscio di pioggia intensa li aveva sorpresi in visita all’antico centro, di poco sopra. Erano tornati fradici ma soddisfatti alle macchine che avevano lasciato al lago. L’arte paga.

La peculiarità di Rossino sta anche nelle due chiese, adiacenti e con la medesima dedicazione al martire romano. Ambedue ne rivendicano l’antichità, anzi sembra che la Nuova, tuttora la parrocchiale, sia di origine longobarda, poi rimaneggiata. Ha pregevoli dipinti tra cui, custodita in sacrestia, l’Immacolata di Carlo Ceresa, una Vergine dal tenero viso in veste rossa e manto blu, che tiene il piede sul drago maligno. Dalla nube il Padre Eterno rassicura con una mano poggiante sul globo.

Due passi e si arriva al castel rubro. Anch’esso rivendica il titolo di Castello dell’Innominato. Magnifico scenario di eventi e matrimoni, oggi chiuso. La guida mi ha parlato di passaggi segreti, tunnel scavati che portavano lontano. Già nelle nostre conversazioni oratoriane si favoleggiava di questi cunicoli e del desiderio di esplorarli. Gli occupanti, alle prese con eserciti di passaggio,  dovevano tenere aperta una via di fuga.


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