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Finalmente! Ci voleva Napoleone per farmi entrare nell’Accademia Tadini di Lovere. In una sala c’è l’allestimento celebrativo dell’anniversario della morte, il 5 maggio 1821. L’Accademia ha voluto ricordarlo ricuperando materiali propri. Ci sono busti, medaglie commemorative, stampe, proclami, lettere, quadernetti che parlano di lui oltre a libri biografici del tempo. Spiccano delle composizioni poetiche, tra le quali quelle del conte Tadini, che testimoniano le passioni politiche sue e l’entusiasmo con cui accolse le imprese del grande imperatore.

 Il conte Luigi Tadini, fondatore dell’Accademia, veniva da Crema. Qui aveva la casa di villeggiatura. Vi tornava spesso e volentieri.  Tornò definitivamente in tarda età, negli ultimi dieci anni. La moglie desiderava essere vicina alla tomba del figlio Faustino rimasto sotto le macerie della villa in ristrutturazione. La disgrazia l’aveva segnata. Il conte si era affidato al Canova per ricordare l’unico figlio di belle speranze. Aveva incontrato lo scultore trevigiano a Roma e i due erano rimasti sempre in contatto..  

Si trovò in epoca di grandi trasformazioni, tra Settecento e Ottocento, dagli ultimi anni della Repubblica veneta all’arrivo dei francesi poi l’età napoleonica per finire con il ritorno dell’Austria del Regno Lombardo-Veneto. Tadini aveva accolto con entusiasmo gli ideali rivoluzionari. Era stato uno dei delegati alla Consulta di Lione nel 1802 per il governo della Repubblica Cisalpina. Aveva visto in Napoleone il modernizzatore, l’uomo che apriva le porte alla scienza e alle arti. La cultura non doveva più restare chiusa nei salotti e nelle ville dei nobili. Da ciò la sua idea di Accademia, non solo Museo dove esporre opere ma anche scuola di formazione, di disegno e musica, per le giovani generazioni. Pensava al bisogno di maestranze e di persone capaci agli albori della rivoluzione industriale. Negli anni di felice vita familiare aveva girato l’Italia e così raccolto opere. A Napoli aveva acquistato manufatti greci e servizi per la tavola, piatti in porcellana, statuette, tra cui il notevole gruppo Giudizio di Paride. La vendita dei beni ecclesiastici era una ghiotta occasione per avere opere artistiche di primo piano con modica spesa.

Siamo un po’ tutti visitatori frettolosi. Vogliamo vedere tutto e non godiamo di niente, saltando da quadro  a quadro, presi nella lettura di targhette, un confronto per verificare temi o personaggi, sostando su qualche volto familiare, al pittore noto, privilegiando le tele di grandi dimensioni, le coreografie ricche di personaggi o di paesaggi naturali. Ci si ferma su un particolare perché si riconosce l’evento o per il personaggio bizzarro e poi, quasi ravvedendosi, si prosegue abbracciando più opere a colpo d’occhio.  

Si passa tra secoli e scuole, da motivi religiosi a quelli profani, per scene casalinghe e campi di battaglia. Invece qui c’è da sostare per apprezzare. Non solo per i pittori celebri come Bellini, Tiepolo, Palma il giovane, Cerutti, ma anche per i meno noti che danno vivacità al racconto, hanno forza nella resa del colore, infondono profondità psicologica negli sguardi. Come il lavoro di Paris Bordon, pittore della bottega di Tiziano, che dipinge una Madonna in atto di appoggiare il bimbo sulla spalla di San Cristoforo, mentre a lato sta S. Giorgio armato e pensieroso, ripreso nelle fattezze del promettente e sfortunato condottiero Giulio Montrone che fu colpito da un’archibugiata proditoria. Una sezione è giustamente dedicata al pittore loverese Giorgio Oprandi. Costui si era formato alla Carrara poi a Milano.

Nelle esposizioni ottenne presto un successo di pubblico. Incominciò a viaggiare. Andò in Africa inseguendo la moda esotica di pittori e letterati di fine Ottocento: Algeria, Palestina, Egitto, Libia, Eritrea. Divenne pittore delle colonie italiane in Africa, anche per questo acclamato. Si spostava su una Fiat 503 che aveva allestito come un moderno camper. Oprandi rende bene le luminose solitudini degli spazi desertici, ritrae la vivace e colorata vita dei mercati arabi, i volti delle donne, si sofferma sui nudi femminili, è attento ai dettagli degli abiti e agli ornamenti. Non è solo documentazione di popoli e ambienti diversi, c’è una partecipazione calorosa, un sentimento d’incanto nel gioco delicato dei colori tenui, l’attenta disposizione di uomini e oggetti nel paesaggio. Più avanti si ritirò tra i luoghi natali, a Lovere, percorse la bergamasca, frequentò Bergamo dove aveva occasioni e nuovi stimoli per la sua pittura, ritraendo la natura che con le stagioni cambiava e la gente nelle sue occupazioni e nei suoi riti. Una visita breve ma intensa.

Il sito ufficiale dell’Accademia Tadini


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