Biondi immobiliare

Chiara Ferragni ha avuto un momento di grande esposizione mediatica qualche settimana fa, quando è stata nel team di presentatori del Festival di Sanremo. Ma ha osato indossare un abito con la scritta «Pensati libera», ed è stata travolta dall’odio di internet (della sua vicenda ha parlato Silvia Fumarola su la Repubblica cartacea dello scorso 12 marzo).

Matteo Berrettini è uno dei più forti tennisti della storia italiana, non solo recente. Ha raggiunto almeno i quarti di finale in tutti i tornei del grande slam, compresa una finale a Wimbledon nel 2021. È salito fino al 6° posto della classifica mondiale. Poi si è innamorato, ha avuto qualche infortunio e quindi ha perso qualche partita. Ed è stato anche lui travolto dall’odio di internet (ne ha parlato in una intervista concessa a Paolo Rossi per la Repubblica cartacea del 13 marzo).

Clio Zammatteo è una influencer, il suo campo è la diffusione di prodotti per il make up femminile. Ha successo, nella sua azienda lavorano 100 persone, fattura 10 milioni di euro l’anno. Ed è stata travolta dall’odio di internet (di lei ha scritto Candida Morvillo sul Corriere della Sera del 13 marzo).

La reazione di tutti e tre è stata simile: hanno pianto pubblicamente. Hanno ammesso che l’ostilità degli odiatori da tastiera l’hanno sentita addosso in maniera penosissima.

Probabilmente, nel privato, si sono anche arrabbiati. Ma il loro mestiere è un altro. Consiste nel fare cose belle, nel sorridere quando vincono, nel fare pubblicità alle aziende che attraverso di loro mostrano i propri prodotti – che siano abiti, visite a musei, racchette, scarpe che favoriscano l’alto rendimento sportivo, complementi per il trucco.

Ognuno di loro guadagna molto, gira il mondo, incontra persone famose. Conduce la vita che molti fan desiderano. Ma loro, sì, le vivono. I fan no, si limitano a guardarle da lontano. E dopo un po’ scatta l’odio. È un paradosso. A quasi nessuno piace essere odiato, nemmeno a chi riversa parole velenose sui social.

Solo che la reazione all’odio delle persone normali è, spesso, dello stesso tipo – secondo il motto «per un prepotente, un prepotente emmezzo». Gli influencer, invece, no. Non possono reagire male. Devono mantenere il sorriso, tollerare.

Altrimenti perdono i contratti con le aziende che li sponsorizzano. E a rimetterci sono loro, gli influencer, mica coloro che li hanno insultati in internet.

Gli influencer fanno un mestiere nuovo, che fino a pochi anni fa era impensabile perché mancavano gli strumenti e i siti su cui praticarlo. La televisione è cosa della metà del ’900, ma i social sono roba del nostro secolo (quello che ha più iscritti, Facebook, è nato nel 2004 – meno di 20 anni fa).

La sofferenza interiore e il sorriso permanente sono conseguenze di qualcosa che stiamo ancora imparando. Lo imparano loro, gli influencer, e lo imparano anche coloro che li odiano. Subire l’odio è brutto. Scaricarlo addosso alle persone sembra un diritto, ma forse non lo è. Basta fermarsi a pensare quanto sia brutto.

Fonte immagine di copertina: Depositphotos

Autore

Guido Tedoldi

Nato nel 1965 nel milieu operaio della bassa Bergamasca. Ci sono stato fino ai 30 anni d’età, poi ho scelto di scrivere. Nel 2002 sono diventato giornalista iscritto all’Albo dei professionisti. Nel 2006 ho cominciato con i blog, che erano tra gli avamposti del futuro. Ci sono ancora. Venite.

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