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Per quanto sembri incredibile, visti i 27 punti dopo 15 partite (da nessuno pronosticati alla vigilia), l’Atalanta sta vivendo ore molto agitate. Eppure, non c’è molto da stupirsi se solo si guarda ai protagonisti con spirito disincantato. Perché stanno emergendo limiti e mancanze già evidenti e segnalate a suo tempo quando però scivolavano via annegate nell’euforia da Champions e dintorni. Prendiamo in esame i tre attori principali (la società, l’allenatore, la piazza) e analizziamo le criticità.

LA SOCIETÀ

È probabile che nell’accusa di Gasperini di una mancanza di chiarezza sugli obiettivi di stagione ci sia una parte dì strumentalità per trovare alibi a qualche proprio limite. Ma è anche sicuro che dacché c’è stato il cambiamento di assetto proprietario l’Atalanta non è più la stessa. Ci sono un ”padrone” e un presidente, un direttore sportivo per l’estero e uno per l’interno (sembra un governo…). Che lo si neghi o meno, non è più l’Atalanta dei Percassi che abbiamo vissuto per dieci anni. Con un presidente dalla chiarezza talvolta brutale, decisionista, libero di muoversi senza dover consultare o chiedere il permesso a qualcuno (leggi azionisti). La sovrabbondanza di ruoli e funzioni non è di per se’ foriera di guai, ma specie quando la nave affronta mari in tempesta rischia di essere un limite. Perché la ciurma non sa più qual è la rotta se sulla tolda non c’è un capitano forte e dalle idee chiare.

L’ALLENATORE

Fatta la premessa doverosa (Gasperini ha cambiato la cultura calcistica a Bergamo e si è guadagnato un posto nella storia), comunque insufficiente per gli ayatollah che non amano la benché minima osservazione nei confronti del tecnico, è evidente che taluni comportamenti, peraltro non nuovi, rimarcano i limiti dell’allenatore. Il più grave dei quali è la difficoltà a gestire i giocatori di personalità. Quando entra in rotta di collisione con questi, si tratti di una scelta tattica o di una sostituzione, Gasperini tende a farsi prendere da una alternativa secca: “o io o lui” (se si preferisce, “o con me o contro di me”). Inutile rievocare i diversi casi del passato, il discorso è attuale quando il tecnico chiede alla società di vendere alcuni giocatori perché lui non vuole avere problemi. Che è una pretesa un po’ eccessiva, visto che tra i compiti di un allenatore (come di un team manager o di un caporedattore) c’è anche quello di gestire un gruppo, facendo le scelte più opportune. Vi immaginate le tensioni che ci sono nelle grandi squadre? Avete presente cosa significa gestire i Ronaldo o i Messi? E qui si fatica a “governare” un Demiral? Suvvia… È chiaro, comunque, che questo per Gasperini è un nodo irrisolto e gli toglie serenità. Ma è allo stesso tempo un po’ troppo comodo “usare” la piazza per i suoi contrasti con la società.

LA PIAZZA

La tendenza generale è a passare dalla beatificazione alla gogna. Non c’è mai senso della misura. Ma quel che colpisce, si fa per dire, non sono i tifosi, ai quali è legittimo consentire di far prevalere la passione, quanto quella parte di critica che dopo aver elogiato sperticatamente, e a prescindere, il tecnico anche quando i limiti erano evidenti, oggi adotta comportamenti da maramaldo, usando espressioni che scadono nel dileggio. Da Re Mida ora Gasperini sembra diventato un apprendista stregone che agisce per tentativi, che fa scelte frettolose, che di tattica non capisce più quasi nulla. In chi ragiona così o c’è dell’incapacità di analisi o della malafede. Non una gran scelta. Ma anche questa componente a suo modo incide. E da’ il segno di come fare risultati sportivi straordinari non significa necessariamente crescere e imparare a gestire le situazioni di difficoltà. Per quelle servono uomini veri. E qui, ai vari livelli, non se ne vedono molti.

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