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Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio”.

Questa affermazione di Albert Camus che avevo utilizzato in un precedente articolo scritto nel 2020 (https://www.socialbg.it/lega-pro-quando-il-calcio-segna-il-goal-della-sostenibilita-della-persona/) e che aveva come focus il legame tra calcio e sostenibilità, risulta essere quella ancora più adeguata per continuare ad esplorare questa tematica per parlare di un libro molto interessante che si chiama “Give Back – Storie di Calcio Socialmente Responsabile”.

Questo libro nasce all’inizio del 2021, quando i tre autori iniziano a condividere le rispettive esperienze e visioni riguardanti lo sport e le sue potenzialità in ambito sociale. L’idea di raccontare storie di Calcio Socialmente Responsabile si sviluppa quasi naturalmente, con il ruolo del giocatore a evolversi nel corso degli anni, da semplice uomo di campo a moderno portatore di interessi e veicolo di messaggi: un nuovo modello di sportivo, non più auto-riferito ma finalmente pronto a mettere il proprio status al servizio di iniziative extra-calcistiche, portate avanti in autonomia o con l’aiuto di altre persone. Progetti che vanno oltre il campo e abbracciano temi fondamentali come ambiente, attenzione ai più deboli, parità di genere, lotta al razzismo, solidarietà.

Recentemente ho avuto modo di approfondire i contenuti di questa proposta editoriale parlando direttamente con uno degli autori, Mario Rucano, ed è stato un momento di lavoro più affine ad un brainstorming piuttosto che ad una intervista in senso stretto e proprio questa dinamica, a mio avviso entusiasmante, è quella che provo a condividere con tutti i lettori ponendo all’autore queste domande:

Da dove nasce l’idea di questo libro e quali sono le storie che propone?

L’idea nasce dall’incontro tra me e gli altri due autori del libro: Stefano D’Errico e Valentino Cristofalo. Gli interessi comuni per il calcio e per i temi legati alla Corporate Social Responsibility ci hanno fatto pensare a una raccolta di storie in cui lo sport, per una volta, non fosse il protagonista principale, quanto piuttosto uno strumento per far luce su altre iniziative: lotta per i diritti e contrasto alle discriminazioni, tutela dell’ambiente, imprenditoria sostenibile.

Aldilà delle singole storie, ci interessava indagare la relazione tra il calciatore, la sua visibilità e l’utilizzo che ne viene fatto. Che i top players oggi siano icone e aziende con gli scarpini ai piedi è noto a tutti: molti utilizzano questo “social power” per accrescere la propria immagine, mentre altri usano la loro platform in maniera diversa. I protagonisti delle nostre storie appartengono a questa seconda categoria, pronti a fare da tramite per facilitare la conoscenza di associazioni e campagne con finalità sociali.

Riflettendoci a posteriori mi viene da sorridere: un libro che di fatto racconta il potenziale dei social network nel divulgare un certo tipo di messaggi nasce proprio grazie a… LinkedIn. È lì che ho conosciuto Community Soccer Report, la pagina web su cui Valentino e Stefano periodicamente danno spazio a iniziative di CSR portate avanti dai Club calcistici italiani e stranieri. La domanda è stata immediata: perché non raccogliere un po’ di storie e metterle in un libro?

Il primo nome che ci è venuto in mente è stato quello di Astutillo Malgioglio, che i più ricorderanno come riserva di Walter Zenga nell’Inter di Trapattoni. Il suo impegno a favore dei ragazzi disabili nasce agli albori della sua carriera e dura fino ad oggi: più di quarant’anni al servizio di famiglie che molti definirebbero come “gli ultimi”, e che lui invece continua a considerare “i primi”.

Dopo di lui il ragionamento è stato semplice nella sua immediatezza: “Beh il portiere ce l’abbiamo. Ne mancano solo altri dieci e facciamo la squadra”.

E così è stato: ne è venuto fuori un 3-4-3 alquanto spregiudicato, dove calciatori e calciatrici trovano spazio a prescindere dal Paese di nascita o dal campionato in cui militano. La linea difensiva è comandata da Sara Gama, capitana della Nazionale femminile di calcio, supportata dai compagni di reparto Héctor Bellerìn e Javier Zanetti. A centrocampo si alternano la corsa muscolare di Mathieu Flamini e Morten Thorsby e la classe di Juan Mata e Sadio Mané, a supportare un tridente d’attacco in cui la statunitense Megan Rapinoe divide l’area di rigore con Marcus Rashford e Samuel Eto’o.

La cosa che ci è piaciuta di più è stato scoprire un denominatore comune tra tutte queste storie, che ha finito per dare il titolo al libro. Give Back. Letteralmente “restituire”: un’urgenza che tutti i protagonisti delle nostre storie hanno sentito ad un certo punto della loro carriera. Il calcio li ha resi personaggi famosi, benestanti, riconoscibili. Il favore andava ricambiato.

Ma se il primo passo è stato comune a tutti i protagonisti, i modi  in cui ognuno di loro ha deciso di agire sono stati diversissimi. C’è chi ha fondato una propria associazione, chi si è impegnato verso alcuni degli obiettivi ONU dell’Agenda 2030, chi ha fatto della sua storia un esempio per le nuove generazioni. Ne è venuto fuori un racconto con tante sfaccettature, che spero risulti interessante ai lettori quanto per noi autori è stato scriverlo.

Sono venuto a conoscenza di questa iniziativa editoriale attraverso un post del calciatore Filippo Galli: da quanto vi conoscete?

In realtà da poco, pur abitando nella stessa città. Ho iniziato a seguirlo quando ha aperto il suo blog “La complessità del calcio”. Mi ha fatto tornare in mente una frase di Cruijff: “Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia”.

Il suo è un approccio sistemico allo sport, che mette insieme insegnamenti diversi che concorrono a formare lo sportivo e ancor di più l’uomo di domani. Dopo la carriera da calciatore che tutti ricordiamo, ha lavorato per anni nei settori giovanili, dove la sua esperienza nel calcio dei grandi (in senso anagrafico e non solo, visti i successi a cui un interista come me ha dovuto assistere negli anni del suo Milan) è stata preziosissima.

Ho trovato un filo comune tra la sua idea di calcio come strumento educativo-formativo e la nostra  che tiene insieme sport e responsabilità sociale: ci siamo conosciuti ed è stato un incontro proficuo: al di là della possibilità di presentare Give Back sul suo sito, si è dimostrato un vero “Campione per-Bene”, attento alle tante strade che il calcio tiene insieme.

Personalmente credo che una delle modalità per implementare la visibilità della promozione culturale del valore della sostenibilità nel calcio possa consistere nel creare una squadra di ex calciatori che scendano in campo in eventi ad hoc analogamente ad altre esperienze con finalità solidali diverse: le piace questa idea?

Senz’altro sarebbe il modo migliore per “scaricare a terra” tutto il potenziale di questo motore. Hai ragione a ricordare le altre iniziative simili che, per fortuna, siamo abituati a vedere sui campi di calcio con una certa frequenza. Ogni evento che aiuta a raggiungere obiettivi concreti e, ancor di più, a far crescere la consapevolezza su certi temi va applaudito a prescindere.

Senza voler fare classifiche o graduatorie, la “nostra” squadra ha una caratteristica in più: nella scelta dei calciatori abbiamo privilegiato il criterio dell’autenticità a quello, più immediato, dell’impatto economico. Non eravamo cioè interessati ad assegni milionari che passano di mano a favor di telecamera, quanto invece a storie che unissero protagonista e beneficiari in modo inscindibile.

I protagonisti di Give Back ci credono davvero, e il loro impegno va aldilà del contributo economico offerto alla causa. Ognuno di loro investe tempo, si mette in discussione e utilizza la propria immagine al servizio dell’obiettivo da raggiungere. È questo che, secondo noi, va sottolineato. La percezione che se ne ricava è quella di persone autentiche, che scelgono personalmente le iniziative da sostenere, senza alcun tornaconto personale in termini di immagine o personal branding.

Chissà che un domani questi campioni non possano davvero incontrarsi su un campo di calcio a sostegno di qualcuna delle loro sfide per un mondo migliore. Rassicuro tutti fin d’ora: nel caso, mi limiterei a sedere in panchina, senza sottoporre il pubblico allo spettacolo offerto dai miei piedi poco educati!

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Autore

Alessandro Grazioli

Marito e papà di 4 bambini, laureato in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano, Business Unit Eticapro, Consigliere Comunale, scrittore di libri per l'infanzia, divulgatore e influencer sociale su Socialbg

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