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Sintesi sotto forma di intervista di una lezione di Maddalena Bonelli (docente dell’Università degli Studi di Bergamo) dal titolo Si può parlare di libertà nell’etica aristotelica?, del 20 aprile 2021 nell’ambito della programmazione di Noesis).

Dal titolo della conferenza si può arguire che Aristotele non aveva la nostra visione di libertà.
Eleutherìa (libertà) in Aristotele è la condizione politica del cittadino ateniese e non indica una volontà morale. Nell’antichità si discuteva di fato, destino, necessità degli avvenimenti. Lo facevano gli stoici e filosofi più sincretici come Cicerone (De fato) e lo faceva Alessandro di Afrodisia di cui qui si parla.

Chi era Alessandro di Afrodisia?
Il maggiore commentatore di Aristotele dell’antichità. Visse tra il II e III secolo d. C. e fu voluto dagli imperatori Settimio Severo e Caracalla a presiedere la scuola peripatetica di Atene. Seguendo lui che lavora su materiali aristotelici si costruisce una teoria interessante del destino, un destino che in parte l’uomo può modificare.

In che modo Aristotele riconosce che non tutto è determinato?
Anche in natura avvengono processi che non sono necessitanti. Fa l’esempio della pecora con cinque zampe o del feto che non porta a termine il suo sviluppo. D’altronde se noi vediamo col tempo che i nostri capelli imbiancano interveniamo con qualche unguento.  Aristotele (Fisica) parla di generazioni o accadimenti forzati e non destinati (emarménos) per natura. Si potrebbero chiamare così le azioni volontarie degli uomini in grado, usando la ragione, di spezzare le catene delle cause naturali. Alessandro di Afrodisia più esplicitamente parla di potere (dùnamis) che “dipende da me” (efemìn): poter compiere azioni che si oppongono al corso naturale o destino, contrariamente a ciò che avviene per gli elementi naturali come nel caso del fuoco che “non può non” riscaldare.

Aristotele dà importanza alla ragione, al logos.
L’azione (pràxis) dell’uomo richiede deliberazione, scelta (proàiresis).“Non diciamo che agisce parlando di un bimbo, neppure lo diciamo per una bestia ma solo di chi opera per ragionamento”. L’uomo razionale agisce calcolando in vista di un fine.

Aristotele distingue le varie cause e parla di causa efficiente, causa finale, causa prima.
In Etica Eudémia dice: “Se tutte le cose sono principi (cause) di azioni, l’uomo è principio di certe azioni“. E precisa: “Ci sono cose che accadono necessariamente” – come i movimenti degli astri o le verità matematiche – “e cose contingenti, cioè che possono essere diversamente. Molte di quest’ultime dipendono dagli esseri umani”, “dall’uomo dipende il loro accadere o no”. Alessandro di Afrodisia parla dell’uomo come principio di azione, punto di partenza. L’uomo ha la capacità di spezzare la serie delle catene naturali. L’uomo, mosso dal desiderio e dal ragionamento, delibera (bulé) e ciò lo fa essere causa prima di azione: “Se gli uomini sono principi di partenza non significa che non abbiano cause, ma solo che in quella azione la loro deliberazione è la causa prima dell’azione” (Etica Nicomachea).

Questi argomenti aristotelici contengono perciò una teoria della libertà anche in senso etico.
Sì. Dipende da noi il fare o non fare. Altrimenti non si giustifica la pratica sociale della lode e del biasimo. Perciò Alessandro di Afrodisia ammoniva gli imperatori sedotti dagli stoici: “attenti! perché se tutto dipende dal destino come dicono, vi troverete con sudditi irresponsabili!”

Non ci sono ombre nel pensiero aristotelico? Anche lui non batte ciglio davanti alla pratica della schiavitù.
Sono due i punti oscuri del suo pensiero. Aristotele ha sempre sostenuto che l’uomo acquista mediante l’educazione e l’esercizio un habitus, il carattere da cui poi è difficile scostarsi. Inoltre l’uomo che lui considera ha le caratteristiche dell’uomo greco, adulto, dotato di rendita, libero e maschio. Sono esclusi gli schiavi perché non dotati di razionalità sufficiente, esclusi gli adolescenti almeno temporalmente, esclusi i lavoratori salariati privi del tempo necessario a partecipare, escluse le donne perché emotive e non in grado di ponderare le situazioni, come capitò a Medea che travolta dalla passione uccise i propri figli (Mario Vegetti, Etica degli antichi).

In ciò Aristotele si dimostra figlio del suo tempo.
Paradossalmente è a noi più vicino Platone: con la distinzione di anima e corpo e la netta prevalenza della prima, dava un ruolo alle donne nella sua visionaria Repubblica.

A cura di Mauro Malighetti


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