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I bergamaschi Johnny Dotti (imprenditore sociale) e Mario Aldegani (ex superiore generale dei Giuseppini del Murialdo), dopo il successo di “Giuseppe siamo noi”, firmano (per le Edizioni San Paolo) un altro consistente lavoro dal titolo “Più vivi, più umani – La virtù nella vita quotidiana“.



Con la prefazione di Giaccardi e Magatti

I due autori (legati da solida amicizia) si soffermano sulla virtù nella vita quotidiana, parola desaparecida e controcorrente, “poco consona –  scrivono nella prefazione Chiara Giaccardi e Mauro Magatti – a un’epoca in cui il sacro dovere che tutti siamo invitati a rispettare è quello dell’autorealizzazione“. Dotti e Aldegani, come moderni pirati, solcano, con la nave dell’esperienza e del buon senso, le acque di una società liquida, annoiata e disincantata alla ricerca di un tesoro perduto: la virtù appunto, quel concime necessario alla consistenza umana di ognuno di noi. Quell’energia che ci libera dalla paura, che ci apre all’eterno. Certo occorre svestire la parola virtù da un paludamento opaco e anacronistico di pesante usbergo e conferirle una leggerezza dalla consistenza di “traccia madreperlacea“. Occorre “conservarne la cipria nello specchietto quando spenta ogni lampada la sardana si farà infernale…“.

Una strada di generatività e di liberazione

Nel passato l’etica della virtù considerava la formazione del carattere e l’aspirazione all’eccellenza condizioni necessarie per dare un senso alla vita. Epitteto, nelle Diatribe, ci spiega la “virtuosa” ricetta che sarebbe sfociata nella serenità (l’El Dorado degli stoici): “Tre sono gli ambiti nei quali deve esercitarsi chi vuol diventare uomo di perfetta virtù: il primo concernente i desideri e le avversioni, al fine di non fallire nei propri desideri e di non cadere nell’oggetto delle proprie avversioni; il secondo concernente gli impulsi e le ripulse e, insomma, il dovere, al fine di agire in modo regolato, riflessivo e senza trascuratezza; il terzo concernente la fuga dall’errore e la cautela nel giudicare e, insomma, gli assensi“. Gran bel discorso che con il radicarsi del Cristianesimo si è declinato, con la speranza nell’aldilà concretizzata nelle opere dell’aldiqua, attraverso i termini coraggio, temperanza, giustizia e saggezza – che letti così sembrerebbero gli ingredienti per creare un supereroe della Marvel. Dotti e Aldegani, nel loro libro, rifuggono da speculazioni filosofiche e da vademecum di morale cristallizzata orientata al mentoring del perfetto virtuoso, ma inquadrano la virtù nella dinamiche quotidiane del Terzo Millennio come “una forza fragile e obbediente” che “nasce dalla relazione vera e libera con la realtà” e “capace di accogliere il seme del desiderio e farlo davvero fruttificare” conducendoci al discernimento “punto di equilibrio tra intelletto, sensibilità e spirito“.  “Le virtù – scrivono gli autori – sono una strada di generatività e di liberazione. Ogni volta che ci affidiamo al nostro “essere tu” facciamo crescere la virtù, ogni volta che ci affidiamo al nostro io facciamo crescere il vizio”.

Necessità di virtù incarnate

Il cuore del libro (e non poteva essere altrimenti considerata la biografia dei due autori) affronta il tema dell’educazione, un atto generativo che “oggi più che mai, è questione di virtù” che “si trasmette per contagio, amore e partecipazione soggettiva“. In un epoca di deriva tecnocratica dove un super computer può generare un romanzo sullo stile del nostro autore preferito nel giro di pochi secondi, l’educatore è un po’ un Don Quijote che si batte per relazioni che ci espongano all’altroin una mediazione non solo delegata a strumenti e tecniche, ma affidata al cuore dell’educatore“. “Un educatore – si legge nel libro – non ha fretta di rispondere alle domande, ha il gusto di allenare alle risposte; e non ha la pretesa di conoscerle tutte, ma ha la responsabilità di non lasciare soli gli altri di fronte alla domanda“. L’uomo ha ancora bisogno della storia e delle storie di altro uomo che gli suggeriscano di prendere il largo, buttare le reti e intravvedere il futuro. L’uomo ha necessità di una comunione dei volti dove la virtù sia incarnata diventando forza e nutrimento consacrate all’alterità. “Una virtù – concludono gli autori – che non incontra le provocazioni della realtà e le persone concrete, che non si sporca di terra e forse neanche di peccato, non è virtù“. Il libro Più vivi più umani è consigliato anche dal vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, che ne ha curato la presentazione: “Esprimo vivo apprezzamento per questa pubblicazione che rivela una sensibilità attenta a ogni frammento di vita e un ascolto partecipe e partecipativo, pronto a lasciarsi istruire dalla vita e dalle forme virtuose e innovative di solidarietà, in particolare quelle legate alla fragilità e alla vulnerabilità“.

La copertina del libro Più vivi più umani


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