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Dalle cucine, dalle dispense e dai deschi italiani proviene, forse da sempre, un deciso profumo e identitario, un richiamo irresistibile da difendere strenuamente contro ogni sorta di “imitazione”. La cucina della mamma, della nonna, della zia, di casa o anche solo del paese natio racchiudono un universo culinario che crediamo ‘nostro’ e solo ‘nostro’, forse perché rimanda a ricordi d’altri tempi, peraltro spesso non vissuti direttamente poiché solo tramandati per memoria orale dalle stesse mamme, nonne, zie o voci di paese“. E’ l’architrave che regge il nuovo libro di Irene Foresti, PENTOLE E CAMPANILI, edito dal Centro Studi Valle Imagna. Sociabg l’ha intervistata.

Come ha scelto i piatti specifici di cui parla nel suo libro, “Pentole e campanili. Assaggi di campanilismo italiano in cucina”?

Sono partita scrivendo come primo saggio quello sullo Squartone, senza pensare subito ad un libro ma ad un blog tematico con brevi puntate relative a piatti o cibi poco conosciuti. In seguito ho scritto quello sugli usilì scapacc bergamaschi ed è così che ho maturato l’idea di scrivere un libro su piatti e ricette che in forme simili si trovano un po’ in tutta Italia ma che ogni paese o regione pensa di aver inventato per prima. La scelta è ricaduta poi sulle preparazioni che conosco meglio per vissuto personale o, semplicemente, che hanno stuzzicato maggiormente la mia curiosità. Avrei potuto scrivere anche di molti altri, ma dovevano essere, come dice il titolo, solo assaggi senza sfociare nel rischio enciclopedico.

C’è un piatto che ha esplorato nel suo libro che l’ha particolarmente sorpresa o affascinata?

Si, quello sugli usilì scapacc. E’ una ricetta che conosco sin da bambina poiché sono bergamasca ed è stato molto stimolante ed interessante appurare che fanno parte di quella che ho definito cucina dell’assenza, ossia piatti che sono completamene privi dell’ingrediente principale che portano nel nome, come la pasta con le sarde a mari (nel mare, ossia senza sarde) o la pasta con le vongole fujute (scappate…) che si trovano al Sud o ancora le polente vedove (senza condimento), gli arrosti morti ecc.(senza carne) ecc.

Qualche è stata la difficoltà maggiore nel cercare di ricostruire le storie di questi piatti presentati nel suo libro?

Nel caso di questo volume, rispetto ad altri precedenti, non ho avuto grosse difficoltà nel ricostruire la storia dei piatti, bensì ho dovuto affrontare il dilemma della scelta di quali piatti escludere (come detto, davvero non volevo rischiare di scrivere un’enciclopedia, considerando la vasta compagine del patrimonio gastronomico italiano) e la necessità di non scrivere troppe pagine su un singolo piatto.

Qual è stata la sua fonte principale di informazioni per la stesura del volume?

Ho attinto alla mia libreria personale di testi di storia e cultura del cibo (ne ho circa 350) ed a testi o ricettari storici (ascrivibili ad un lasso di tempo compreso tra il XIV e XIX secolo) ancora disponibili per la consultazione. Non ho trascurato ovviamente la tradizione orale fatta di racconti, proverbi, modi di dire e aneddoti gentilmente raccontati da amici, parenti, nonne, zie ecc.

C’è qualche regione italiana in cui ha notato che il campanilismo gastronomico è particolarmente pronunciato?

L’antropologo Franco La Cecla ha sentenziato, in tempi non sospetti, che “il cibo è ciò che gli italiani mangiano per sentirsi italiani”, si immagini come questo fenomeno possa amplificarsi e potenziarsi ad un livello geografico più ristretto come può essere quello di una regione o di una provincia. Del resto già Goethe disse che gli italiani sono “tutti in urto l’uno contro l’altro, in modo che sorprende, nonché animati da un singolare spirito di campanile, non possono soffrirsi a vicenda” (e non parlava del cibo). Nessuna regione fa eccezione ovviamente, siamo tutti campanilisti in cucina.

Secondo lei, quale ruolo ha la cucina nella conservazione e nella promozione della cultura locale italiana?

Più che del ruolo della cucina sarebbe opportuno parlare del ruolo della ristorazione nella conservazione, tutela e promozione del patrimonio agroalimentare italiano, locale e nazionale. Non dimentichiamoci che i piatti e prodotti della tradizione sono veri e propri beni culturali da salvaguardare. Sono infatti i ristoranti, le sagre di paese e le occasioni conviviali collettive che hanno un peso importante nel conservare la memoria e la tradizione per generazioni future che saranno sempre meno legate alla cucina di casa (non per colpa delle generazioni future, ma semplicemente perchè i sistemi alimentari evolvono come si sono sempre evoluti finora). Abbiamo un nutrito novero di ristoranti che si adoperano per la causa, ed è così che ho conosciuto la prima volta lo Squartone al Ristorante Collina di Almenno S. Bartolomeo (Bg).

Dopo la presentazione alla Roncaglia c’è qualche altra data in calendario per presentare la sua opera?

Sì, il 4 luglio si terrà una presentazione a Piario nell’ambito della Transumanza Letteraria organizzata da Maria Di Pietro. Seguiranno poi le presentazioni del 29 settembre presso la libreria Incrocio Quarenghi di Bergamo dell’ 1 ottobre a Brescia in occasione di un evento legato alle capitali della cultura 2023. Sempre ad ottobre (in data da definirsi) faremo una presentazione con cena presso il Ristorante Collina di Almenno S. Bartolomeo (Bg) ed infine (almeno per ora) a Tavernola Bergamasca nel mese di novembre (anche in questo caso la data verrà definita prossimamente).

L’indice del libro?

  • Prologo conviviale
  • Lo Squartone, parente prossimo del Missoltino
  • I Bruss: quando il formaggio si tuffa nella grappa!
  • Le mille identità del Chisöl: polenta, dolce, questua, focaccia…
  • Il Cuz di Corteno Golgi ed i piatti figli della transumanza
  • Gli usilì scapacc e la cucina “dell’assenza”, fra polente vedove e arrosti morti
  • Le Mariconde, lontane parenti dei Canederli?
  • Capù e nosècc, semplici involtini o qualcosa di più?
  • Bariloche, pitocchi, pilatori e sbirri: tutti pazzi per il riso!
  • La Sfongada: un grande dolce per un piccolo paese
  • Dulcis in fundo: la cucina italiana l’hanno “inventata” gli “americani”?
  • Bibliografia, sitografia e fonti

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PROFILO DELL’AUTRICE IRENE FORESTI - Nata a Tavernola Bergamasca (Bg) nel 1983, è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari per la Ristorazione. Dopo essersi occupata della direzione di impianti di grande distribuzione food, di educazione alimentare, marketing e comunicazione dei prodotti alimentari e di microbiologia alimentare, da anni ha intrapreso la carriera di Direttore Qualità e Sicurezza Alimentare e Manager per la Sostenibilità presso un’azienda di ristorazione collettiva. Nel tempo, appassionata di lingua, storia e cultura del cibo, dell’alimentazione e della cucina, ha compiuto studi e ricerche che l’hanno portata a partecipare a convegni di settore ed a documentari tematici, alla tenuta delle rubriche “Latte, caglio e sale” e “Il formaggio: retroscena conviviali” per Seminario Permanente Luigi Veronelli ed alla stesura di articoli su testate online. Ha pubblicato diversi volumi: Cibi, gusti e sapori, tra monti e lago (2011) e Franciacorta: storia di sapori (2012) per i tipi di Edizioni Sebinius, mentre per il Centro Studi Valle Imagna ha pubblicato Cibo, terra e lavoro: cultura ed etnografia alimentare nella storia sociale della Valle Brembana (2017), Stracchini: stile caseario dell’antica civiltà dei bergamini e sua evoluzione attuale (2020), Casoncelli: storia e identità della pasta ripiena più amata da bergamaschi e bresciani (2021) e Pentole e campanili: assaggi di campanilismo italiano in cucina (2023).
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