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Durante l’emergenza Covid-19 l’Unità di Psicologia dell’ospedale Papa Giovanni  XXIII di Bergamo si è dovuta riorganizzare per rispondere a un crescendo di sollecitazioni mosse dai pazienti, dai familiari dei degenti e dagli operatori (medici e infermieri) del nosocomio bergamasco.



Al lavoro ordinarioprecisa la direttrice Simonetta Spada (foto) – c’è stato tutto un impegno straordinario da affrontare per gestire, dai primi di marzo, la pandemia e portare il nostro contributo su richiesta dell’unità di crisi del Papa Giovanni”.

Quali i primi passi?
In prima battuta abbiamo avuto soprattutto un confronto regionale con tutte le unità psicologia per capire come muoversi. Da qui è nata l’idea di costituire un gruppo ex novo con tutti gli psicologi dell’azienda ospedaliera (una quindicina di persone) per rispondere su due fronti: un supporto ai pazienti Covid ricoverati in grado di parlare (quindi entrando nei reparti a fianco degli altri colleghi medici) e poi il raggiungere tutte le famiglie dei degenti.

In che modo?
Ci siamo approcciati ai congiunti con un sms, meno invadente, ansiogeno rispetto ad una telefonata che parte dall’ospedale. L’sms conteneva l’indicazione di potersi mettere in contatto con i nostri specialisti. Non davamo notizie sullo stato di salute del paziente (non era compito nostro) bensì ci mettevamo a disposizione per ascoltare e proporre soluzione ai disagi psicologici ed emotivi che potevano insorgere nei familiari di un paziente ricoverato. Per esempio una mamma in difficoltà a gestire la comunicazione con il figlio piccolo che da un giorno all’altro ha sospeso la relazione fisica con il papà. Non sa quanta gente ha risposto al messaggio ringraziandoci per il gesto di solidarietà in un momento di grande dolore.

Dopo l’sms e un primo contatto con i congiunti si aprivano con loro percorsi terapeutici?
Diciamo dei percorsi di consulenza. Ci siamo trovati più volte a decidere di risentire un familiare anche tre o quattro volte anche utilizzando tecnologie di videochiamata mai sperimentate in precedenza


Un grande lavoro l’avete messo in campo anche con colleghi medici e infermieri in prima linea?
Pochi giorni fa un collega ospedaliero ci ha detto “Voi ci siete sempre stati”. Non è bello che lo dica io ma è per testimoniare una disponibilità a colloqui e briefing per gestire l’ansia, il senso di colpa, magari, per essersi ammalati e non potere più essere in corsia con i colleghi oppure per la mancanza del tempo necessario per instaurare un rapporto con i malati

Voi date sostegno, ma chi sostiene voi psicologi?
Abbiamo i nostri metodi. Un aiuto ci veniva dalla scrittura attraverso la narrazione condivisa delle vicende tra noi colleghi. Siamo un gruppo unito. L’esperienza del Covid-19 ha rafforzato i nostri legami. Anche chi è stato assente per malattia, se era in condizione, non mancava mai un incontro in videoconferenza

Nelle prossime settimane prevede un aumento del vostro lavoro?
C’è un’esigenza di follow up ampia declinata con l’incontro di tutti i nostri pazienti Covid dimessi.  

Il vostro impegno è stato opportunamente riconosciuto dai colleghi medici di altre specializzazioni oppure hanno trattato la psicologia come una cenerentola?
Devo dire che mi sono sentita molto amata dai miei colleghi e forse anche più che in passato. Tutti, nelle loro diverse professionalità, ci siamo sentiti uniti e partecipi gli uni verso gli altri nel fronte comune contro l’emergenza. Non è bello usare metafore di guerra ma mi viene spontaneo da dire abbiamo agito “spalla a spalla” come quando si è in trincea. In sostanza ci siamo sentiti solidali tra di noi. A volte alla sera si fa fatica a venir via perché si sente che è importante esserci.


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