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L’allenatore, soprattutto di squadre professionistiche di calcio, è uno dei lavori più insicuri al mondo: dopo 40,6 partite viene cambiato, magari esonerandolo se ha intenzione di restare per portare avanti il suo progetto.



A quanto pare i dirigenti delle società calcistiche non si fidano dei loro collaboratori. E alle prime difficoltà li cacciano. Per poi magari riassumerli dopo pochi mesi. Di persone di livello non è che ce ne siano tante, in circolazione. Il dato sulle partite deriva da un’indagine internazionale effettuata dal Cies, un centro studi con sede in Svizzera. Il periodo preso in considerazione è stato il quinquennio dal gennaio 2015 al dicembre 2019, sulla base di 84 campionati di serie A per un totale di 766 società. Soltanto 30 di esse hanno mantenuto lo stesso allenatore per tutto il periodo mentre tutte le altre hanno effettuato cambi. La società più indecisa è stata la boliviana Real Potosì, che ha cambiato 20 allenatori (ognuno rimasto in carica in media per 11,3 partite) ma si segnala la tunisina JS Kairouanaise che ha cambiato 14 allenatori tenendoli in media per 9,8 partite.

Il fenomeno coinvolge anche i campionati più affermati, a cominciare dalla Serie A italiana. Nelle prime 5 leghe per fatturato (insieme alla Liga spagnola, la Premier League inglese, la Bundesliga tedesca e la Ligue 1 francese) l’Udinese è la squadra che ha cambiato di più: 10 allenatori nel periodo per una media di 19,1 partite a testa, il Milan ne ha avuti 7, per una media di 27,3 partite, l’Inter ne ha avuti 6, per una media di 31,8 partite. Le società più stabili sono state Barcellona e Atletico Madrid, che hanno avuto 2 allenatori con in media 96 partite. Di campionato, va detto, perché se si aggiungono le coppe, nazionali e internazionali, le partite aumentano. Già uno come Gianpiero Gasperini, che allena l’Atalanta da addirittura 4 anni (fonte Wikipedia) ha accumulato 174 panchine.


Si potrebbe dire che è ovvia la durata di Gasperini: si è dimostrato un vincente… Ma forse non è del tutto ovvio. Per rimanere in Serie A, Mourinho all’Inter non restò dopo il triplete, né Conte restò alla Juventus dopo 3 scudetti vinti di seguito – e, ehm, nemmeno Allegri rimase dopo 5 scudetti consecutivi. Forse c’è qualcosa insita nel calcio che produce quest’isteria da cambio. Per dire, nella pallavolo c’è un allenatore da 52 anni sulla stessa panchina (ne ha parlato Alessandro Filippini su La Gazzetta dello Sport cartacea del 29 maggio scorso). Si tratta di Nikolay Karpol, festeggiato per il suo 82° compleanno – ma allena sempre l’Urallochka Ekaterinburg. Ok, Karpol è un fenomeno quasi esagerato: ha vinto 25 scudetti di cui 20 consecutivi e 10 Champions League. Poi, nelle pause di campionato, ha seguito la nazionale, vincendo 2 ori olimpici, 1 mondiale, 7 europei (per non parlare degli argenti e dei bronzi). Nel 1991 allenava Ekaterinburg per il campionato e la Mladost Zagabria per la Champions, e tutte e due le squadre raggiunsero la finale europea; non potendo sedere su entrambe le panchine nella stessa partita affidò quella russa alla moglie, e vinse su quella jugoslava. Forse, per i dirigenti delle società, è proprio questione di fidarsi. Soprattutto nello sport, dove la qualità del lavoro si misura con i risultati. Che arrivano di frequente, quasi ogni maledetta domenica.

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Autore

Guido Tedoldi

Nato nel 1965 nel milieu operaio della bassa Bergamasca. Ci sono stato fino ai 30 anni d’età, poi ho scelto di scrivere. Nel 2002 sono diventato giornalista iscritto all’Albo dei professionisti. Nel 2006 ho cominciato con i blog, che erano tra gli avamposti del futuro. Ci sono ancora. Venite.

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