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Riscopriamo la relazione, tema cruciale in Dante e Panikkar, maestri del pensiero. Viviamo in tempo di capitalismo, di differenze, di ricchezze smisurate, della massa “glebalizzata”. Il mondo nostro è meglio definibile come era del capitalocene non dell’”antropocene”.

Abbiamo bisogno di conversione (metanoia), un nuovo porsi, una nuova relazione con sé stessi e gli altri, in una visione “cosmoandrica”. L’uomo minacciato di disintegrazione deve ricuperare un’integrità che comprenda corpo, psiche e lo spirito, il divino seme dantesco.

Panikkar riporta l’aneddoto del rabbino chiamato a giudicare di una lite che ha diviso la comunità. Prima ascolta una parte che manifesta tutta la rabbia per il torto subito e il rabbino dà loro ragione. Il giorno dopo tocca all’altra parte fare le proprie rimostranze. Anche stavolta il rabbino si trova d’accordo. La moglie che ha seguito le fasi della contesa lo riprende: “ … non puoi dar ragione a tutti!”. “Sono d’accordo!” ribadisce il rabbino. L’aneddoto così si conclude; con quale insegnamento? La verità non sta tutta da una parte, ciascuno vede la verità che l’altro non vede. La verità è relazionale, non è monista o polarizzata, piuttosto è armonica e pluralista.

La realtà non è misurabile o quantificabile. Non per questo si cade nel relativismo. Meglio parlare di relatività: dalle varie finestre del condominio l’albero e il cortile appaiono in prospettive differenti. Nessuno può vantare la visione totale.

Panikkar allarga il discorso anche alla religione. Nessuna ha il monopolio della verità. Il Cristo non è nostro ma di tutti. Ricorda che il Cristianesimo stesso predica l’incarnazione, ha la visione dell’uomo come corpo e spirito, professa un Dio uno e trino.

E’ bene ciò che dà più essere alle cose, male ciò che lo toglie”, ripete con Simone Weil, reale è ciò che dà vita, irreale ciò che la disintegra. Contro la rassegnazione diffusa davanti al capitalismo imperante che non lascia alternative Panikkar denuncia l’ingiustizia di un mondo diviso tra l’uno per cento di ricchi e il resto di poveri e servi.

Il cammino di redenzione di Dante non si arresta all’Inferno. “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, smarrita “la dritta via“, “nella selva oscura”, è impedito da fiere minacciose e più delle altre l’opprime la lupa “magra”, “di tutte le brame carca” (“ché molte genti fé già viver grame”) che lo fa arretrare (“mi ripigneva là dove ‘l sol tace”) quasi togliendo la speranza. L’allusione è al mondo di cupiditas che lo circonda, alla brama di ricchezza, dove tutto si fa “mercatanzia”, tutto si compra e si vende (“pagando di moneta senza conio”). Farà un cammino faticoso e doloroso. Attraverso il Purgatorio raggiungerà il Paradiso. Dante avrà modo di spiegare cos’è la vita e la sua qualità di essere relazione dove non risuoni solo l’io ma regni l’amore (“amor che muove il sole e l’altre stelle”), capace di godere della “gloria che tutto move” e che penetra l’universo, per diversi gradi (“in una parte più e meno altrove”), nel mistero che pervade gli esseri.

Nell’Inferno ci si incolpa, uno in conflitto con l’altro, i personaggi sono lacerati nel corpo e nella psiche. Nel Purgatorio si riallaccia il contatto (“alza le vele /ormai la navicella del mio ingegno”) e una volta uscito “fuor de l’aura morta” riprende la vita (“ma qui la morta poesia resurga”). Il Paradiso è il trionfo delle relazioni. Si moltiplica il desiderio. I beati sono desideranti di amore, di conoscenza, di relazione. C’è la testimonianza di Piccarda (“in balìa di uomini a mal più ch’a bene usi”): si accordò con il volere di Dio e le ferite della vita divennero feritoie di luce. Dante si risolleva, si rianima e tramite Beatrice si compenetra in Dio (“tal dentro mi fei qual si fè Glauco nel gustar de l’erba”).

Dante e Panikkar sono stati critici del proprio tempo. Dante si trovò nel passaggio tra feudalesimo e capitalismo, quando nacquero le banche e si impose il “maledetto fiore”, la moneta di Firenze. Cantò la grandezza di Francesco (“tutto serafico in ardore”) che come Cristo scelse la povertà come stile di vita. “Per tal donna” rimasta da un millennio negletta e trascurata (“dispetta e scura”) corse e mai abbandonò (“poscia di dì in dì l’amò più forte”).

Panikkar parla di mega macchina che governa il mondo, di tecnocrazia debordante, di pensiero che vuole avere il monopolio della realtà. Non risparmia quella scienza che non sa fermarsi davanti al mistero che avvolge l’universo. Sollecita la svolta che ci preservi dall’“aborto cosmico”, da un sistema (crematistica) che mettendo il capitale al centro non ha futuro.

Sotto la minaccia di anelli infernali, si chiamino tecnocrazia potere militare nichilismo guerra permanente, siamo chiamati a reagire, a maturare una salutare presa di coscienza, a sviluppare il pensiero critico per processi di liberazione interiore ed esteriore. Dobbiamo riscoprire la creatività dell’immaginazione per forme di solidarietà che ci facciano uscire dalle paure che attanagliano.

(Gianni Vacchelli a Noesis 202/23. Sintesi della lezione dal titolo La verità come relazione: tra Dante e Panikkar per un nuovo mythos all’Auditorium del Liceo Mascheroni di Bergamo, 24 gennaio 2023)

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