Biondi immobiliare

Ho fatto il primo anno di università a Brescia, 1981-82. La strage di Piazza della Loggia distava solo 7-8 anni, eppure era già in atto il torpore del “riflusso”, basta impegno in piazza e tutti in pista per la febbre del sabato sera, che poi s’è presa il venerdi, il giovedi, tutte le serate e anche le cene fino agli apericena.

Forza dell’ormai famoso edonismo anglosassone del duo Reagan&Thatcher e loro epigoni, al ritmo dei Bee Gees e della zebra a pois di un nostro conterraneo, contraltare del cognome risorgimentale che portava. Il palcoscenico era stato ripulito quasi interamente da ogni incrostazione dialettica, passato in retropalco, un dietro le quinte divenuto backstage per mantenere un illusorio senso di benessere.

Brescia era una bella città anche se i bresciani non lo sapevano, e stava mutando pelle, già lanciata sul teleriscaldamento e sul termovalorizzatore, eppure città che poteva ancora permettersi un quartiere popolare, il Carmine, dov’era possibile trovare “una graziosa dagli occhi grandi color di foglia,…..che tutta notte sta sulla soglia”, che ti salutava e ti raccontava degli studi di matematica abbandonati per inseguire nonsisabenecosa. La frontiera sud del Carmine era (è) via San Faustino, il patrono della Leonessa festeggiato all’indomani della festa degli innamorati con una ricca Fiera, un’invasione di bancarelle ricche di ogni ben di Dio: la tecnologia era ancora ai primordi, mi facevano specie le tante bancarelle che vendevano piatti da cucina che i venditori battevano un contro l’altro per dimostrarne la robustezza.

Luigi ingegnere vero e gnaro vero mi ha detto che è ancora così, ma anche lui non sa come mai. Via San Faustino sorge (o sfocia, dipende dal verso di percorrenza) in Piazza della Loggia, e sfocia (o sorge, idem come sopra) dove corso Garibaldi svolta diventando via Pace, dove abitavo. Quelle strade erano il mio tragitto quotidiano, ogni giorno attraversavo Piazza della Loggia, un via vai di gente, accanto ai banchi all’aperto dei fruttivendoli, che si affrettava a buttarsi in corso Zanardelli, la viabene di Brescia, quella delle vasche, il luccichio attraente delle vetrinebene. Solo 7-8 anni dopo, eppure quella vergogna era già stata rimossa quasi del tutto, come il sangue di oltre cento innocenti, di cui otto morti, incredibilmente lavato via subito, insieme a tanti possibili indizi, da solerti idranti.

Una strage di matrice neofascista effettuata col concorso di parti dello Stato, battèri infettivi figli di quel traghettamento postbellico del vecchio apparato fascista nella nuova democrazia, in funzione anticomunista: una sorta di indispensabile vaccino con, però, delle controindicazioni terribili che ci provoca febbre e dolorose convulsioni ancora oggi. Le hanno chiamate Stragi di Stato, perpetrate per alimentare la Strategia della tensione, ossia creare il nemico e la paura per consentire interventi repressivi.

La Brescia dominata dalla Balena Bianca in quel maggio di 50 anni fa sentì il bisogno di battere un colpo contro il crescente clima di paura sollevato dall’estrema destra, culminato con la morte di Silvio Ferrari, un giovane neofascista, a causa dello scoppio di un ordigno che portava con sé in moto, dove non si sa.

28 maggio 1974, una piazza di proletari, si diceva allora, la bomba scoppiò proprio mentre il sindacalista Franco Castrezzati stava denunciando l’anomalia anticostituzionale della presenza del MSI di G. Almirante in Parlamento. BOOM! Erano le 10,12, ma Brescia e l’Italia ripiombarono nel nero della fiamma, non fu la prima e nemmeno l’ultima volta.

E bomba su bomba siamo arrivati a Roma. Insieme a voi

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