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Noi festeggiamo i lavoratori il primo di maggio, in onore degli operai uccisi dalla polizia di Chicago nel 1886, eppure già il 6 agosto 1863, 23 anni prima e 160 anni fa esatti, ci furono i primi operai italiani ammazzati perché difendevano il loro lavoro. La storia è poco nota ma molto significativa, come spesso accade.

Siamo nel Regno delle Due Sicilie, i Borboni, che già possiedono una flotta navale importante, da un bel po’ hanno capito che per sviluppare le aree interne del regno bisogna dotarle di infrastrutture e puntano sul ferro: sviluppano il polo siderurgico calabrese di Mongiana (attivo già dal 1770) per costruire ponti (il primo ponte sospeso in Italia è sul Garigliano, 1832) e le rotaie, ed importano i locomotori a vapore dagli inglesi, dominatori del mercato del trasporto terraqueo con annessi contratti per macchinisti e manutentori.

Nel 1839 viene inaugurata la prima tratta ferroviaria della penisola italica, la Napoli-Portici, i primi 7 km delle costruende linee Napoli-Nocera e Napoli-Capua (passando per Caserta). Il re Ferdinando II decide altresì di affrancarsi dalla dipendenza inglese e punta sulla produzione interna, e con l’aiuto di Carlo Filangeri, figlio di quel Gaetano illuminato giurista napoletano alle cui tesi si ispirò la Costituzione americana, nel 1840 inaugura il Reale Opificio di Pietrarsa, alle porte di Napoli, un polo industriale e di ricerca d’eccellenza mondiale, una sorta di Silicon Valley dell’epoca, tanto che lo zar Nicola I lo visita e lo fa replicare a Kronstadt, vicino Pietroburgo (i due popoli erano amici, nel frattempo invece i Sabaudi si svenarono nella guerra di Crimea proprio contro i russi). Per la cronaca, l’Ansaldo di Genova sarà fondata 44 anni dopo, la Fiat 57.

All’interno dell’opificio viene istituita anche una scuola per macchinisti e manutentori, per cui il personale tecnico dei treni e delle navi europee del tempo o è inglese, o terrone, soprattutto napoletano. Al momento dell’unità d’Italia Pietrarsa è la più grande e importante industria della penisola, conta quasi 1200 dipendenti, seconda l’Ansaldo di Genova con circa 400, tuttavia i sabaudi decidono di potenziare le industrie del nord. Danno Pietrarsa in gestione al milanese Jacopo Bozza che, da vero prenditore, aumenta le ore lavorative, diminuisce i salari, inizia a licenziare e a delocalizzare al nord. Come oggi, nulla di nuovo sotto il sole…

Dopo nemmeno tre anni gli operai da 1200 sono diventati meno di 700, finché gli stessi decidono di sospendere il lavoro per essere ascoltati dalla proprietà, e portare la questione all’attenzione delle autorità. Nessuna violenza, eppure in risposta il questore Nicola Amore invia i carabinieri ed il 33° battaglione bersaglieri che caricano con armi da fuoco e baionette gli inermi operai: 7 vittime e 20 feriti ufficiali, tuttavia l’opificio riaprirà solo il 13 agosto, e dei 668 operai se ne conteranno solo 476: gli altri che fine hanno fatto? Di sicuro si sa che Nicola Amore verrà ricompensato con la carica di Sindaco di Napoli e di senatore del Regno italiano, i Sabaudi useranno le ricchezze del regno borbonico per alleggerire il debito pubblico, in mano ai Rothschild, lasciandolo come eredità delittuosa all’Italia, il Sud verrà spogliato dei suoi beni e trasformato in colonia interna e mercato di consumatori e voti di scambio.

6 agosto 1863, la prima classe operaia Italiana viene repressa nel sangue e dimenticata, insieme a tanta storia riscritta dai vincitori e a un’idea di sviluppo su ferro che in Italia, pur essendone all’avanguardia, è stata abbandonata e dismessa. Perché e per chi lo sappiamo. Rimane apertissima la questione meridionale, perché e per chi lo sappiamo. La storia si ripete, niente di nuovo sotto il sole italico. Colpa del sole, acceca.

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