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Nel libro Scienza come salvezza l’autrice Mary Midgley sostiene che la modernità spesso vede la salvezza come una fuga dai nostri corpi e, se osserviamo attentamente i nostri tempi e i vari commenti che si possono leggere sui social, potremmo notare che la nostra società è profondamente ambigua nei confronti della tematica della corporeità.

Da un lato c’è il culto di una bellezza esteticamente perfetta promossa da una parte della pubblicità e/o dello show business (vedasi ad esempio i video musicali a supporto di alcune canzoni estive) che viene poi eticamente condannato perché considerato come origine del fenomeno del body shaming. Rientra in questa dinamica, ad esempio, tutta la polemica relativa alle foto in spiaggia dell’artista Vanessa Incontrada e ai relativi e sprezzanti commenti che alcuni utenti hanno rivolto nei suoi confronti.

Dall’altra parte, come è emerso anche durante il mese giugno dedicato ai festeggiamenti del Pride, tendiamo ad essere cartesiani (“penso, quindi sono”) e, pertanto, pensiamo a noi stessi in primo luogo come menti.

In base a questa corrente culturale l’elemento caratterizzante è che la differenza di genere è considerata poco importante e questo perché se non siamo che menti debolmente attaccate ai corpi… allora che importanza può avere la differenza tra femminile e maschile?

Infine, sempre la corporeità, è tornata protagonista con lo storico slogan il corpo è mio, decido io che si sta nuovamente diffondendo a seguito della sentenza della corte americana legata alla tematica dell’aborto. Ogni posizione culturale è certamente legittima ma, a mio avviso, ce n’è un’altra che meriterebbe di essere approfondita e che provo a individuare ponendo questo quesito: cosa vuol dire essere corporei?

Alzi la mano, infatti, chi non si è mai sentito a disagio con il proprio corpo vedendolo, in alcuni casi, anche come un modello da rottamare alla stregua di un’auto passata di moda. Pongo questo domanda dopo aver letto, sempre sui social, anche dei commoventi commenti o post di alcune donne che, proprio dopo la gravidanza, fanno comprensibilmente fatica ad accettare la loro nuova corporeità.

La risposta, personalmente, credo che la si possa trovare osservando e ascoltando attentamente un gesto che da secoli continua a ripetersi in tutto il mondo ed è la celebrazione Eucaristica! Affermazione eccessiva? Forse però, se ci pensiamo bene, nell’Ultima Cena Gesù ci ha mostrato che cosa significa essere corporei quando prendendo il pane, benedicendolo, spezzandolo e condividendolo… ha infine detto: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi” (Lc 22,19). I nostri corpi sono doni: donati dai nostri genitori e, come ci ricorda anche il buddismo (che stimo moltissimo), da innumerevoli antenati e in definitiva, come ci richiama l’Eucarestia, da Dio. Penso che la generosità dell’Ultima Cena – questo è il mio corpo donato a voi – possa essere, quindi, la base migliore per un’etica della corporalità.

Posso immaginare che questa mia affermazione sembri pura follia però, se guardiamo la nostra esperienza ontologica, potremmo notare che il corpo umano non è come qualsiasi altro dono. Infatti se ci siamo evoluti in questo modo, a differenze delle altre specie, un motivo ci sarà e l’Eucarestia ci suggerisce che questa motivazione potrebbe essere solo una: l’amore.

In fondo, a qualsiasi corrente di pensiero si appartenga, credo che il minimo comun denominatore sia lo stesso: desideriamo essere amati per la unicità e originalità, anche corporea, che abbiamo.

Forse se nell’affrontare anche tutte le tematiche legate al riconoscimento dei diritti civili si partisse da questo semplice desiderio di essere amati… potrebbe diventare più facile ascoltarsi, guardarsi e soprattutto… toccarsi che è l’unico senso che implica la reciprocità.

La pandemia ha limitato la nostra capacità di toccare i nostri corpi e, cosi, ci siamo abituati ad urlare (in vari modi) creando, così, ancora più distanze. L’augurio per questa calda estate è di riscoprirci corporei e chissà, magari, scopriremo che la risposta a tante nostre comprensibili lamentale non sarà una legge ma la scoperta di una Relazione.  

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Autore

Alessandro Grazioli

Marito e papà di 4 bambini, laureato in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano, Business Unit Eticapro, Consigliere Comunale, scrittore di libri per l'infanzia, divulgatore e influencer sociale su Socialbg

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