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Oggi è l’uomo più potente della Russia, o del mondo, come l’ha definito la rivista Forbes nel 2013; ma agli inizi degli anni Novanta Vladimir Putin pensa che il suo destino sia quello di un semplice tassista a Leningrado (oggi San Pietroburgo), se qualcosa non cambia “in uno Stato che non aveva futuro”. Nella sua biografia, “La strada verso il potere”, Vladimir Putin (classe 1952) racconta di aver cominciato la salita al Cremlino da molto, molto in basso. Nel 1991, nei giorni del golpe comunista, il futuro presidente è deciso a provvedere alla famiglia stando al volante della sua “Volga”, unico importante acquisto fatto durante la missione in Germania dell’Est come agente del Kgb.

Colonnello “in riserva” del più temibile servizio segreto sovietico, Putin è già passato dalla parte dell’avversario grazie all’incontro con Anatolij Sobchak, docente universitario e leader del movimento democratico che in quel periodo muove i primi passi nella grande politica. Il tentativo dei conservatori del politburo di rovesciare Gorbaciov lo mette di fronte a un dilemma: come ufficiale dovrebbe obbedire ai golpisti, come uomo del nuovo potere anticomunista è obbligato a combatterli. Un problema che Putin risolve dando le dimissioni dal Kgb, senza sapere che cosa l’aspetta. I golpisti del putsch di agosto non la spuntano. Pertanto il destino di tassista viene eluso.

Quindi si trasferisce a Mosca (1996) per unirsi all’amministrazione del presidente Boris Eltsin, prestando servizio come direttore dell’FSB, l’agenzia che sostituisce il KGB, prima di essere nominato primo ministro nell’agosto 1999. Dopo le dimissioni di Eltsin, Putin è eletto come suo successore. Con l’avvento del nuovo millennio, comincia l’ascesa dell’ultimo Zar di Russia. In America lo snobbano. Quando nel 2000 in una delle conferenze che si tengono a Davos nella cornice del prestigioso Forum economico mondiale, la giornalista statunitense Trudy Rubin chiede ad Anatolij Chubais, “la volpe astuta”: “Who is Mister Putin?”, la sala reagisce con un coro di risate.

Con una strategia politico-istituzionale aggressiva e spregiudicata, che in più occasioni è parsa lontana dagli standard delle democrazie occidentali,  – si legge nella presentazione alla biografia dell’ex tassista Vladimir Putin firmata dall’ex ambasciatore a Mosca Sergio Romanoè diventato uno degli attori principali sullo scenario geopolitico contemporaneo. Putin si è impegnato a fondo nella ricostruzione dell’identità russa, rinnovando un bagaglio di simboli, valori e ideali rimasti sepolti per secoli”. I giudizi sul suo operato sono contrastanti. Per esempio, in Russia e fuori dalla Russia si trovano persone, appartenenti quasi tutte all’area dei credenti della Chiesa ortodossa di Mosca, che seriamente sostengono che il presidente Putin sia stato inviato da Dio in persona a salvare la Madre Patria.

D’altro canto Anna Politkovskaja (giornalista assassinata nel 2006) nel suo libro “La Russia di Putin” lo descrive come un soggetto che “non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione”.

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