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In copertina c’è un uomo che sbuca da una cavità carsica all’interno della grotta Büs di Tàcoi agli spiazzi di Gromo, a quasi trecento metri di profondità. E’ un’immagine in bianco e nero del 1954. L’uomo poggia su uno strato di funi. Sta avanzando con una torcia in mano e un caschetto in testa. Quell’uomo è Rocco Zambelli, speleologo, studioso, ricercatore, divulgatore, appassionato del mondo naturale e della terra bergamasca. Per un tempo è stato anche sacerdote e parroco a Castione della Presolana.

Conservatore al museo civico di scienze naturali “Caffi” fino al 1981 (anno della pensione), Zambelli ha scoperto a Cene nel 1973 con Mario Pandolfi il più antico rettile volante conosciuto, l’Eudimorphodon ranzii. Si tratta di un fossile che risale a 200 milioni di anni. A Zambelli la Pro Loco di Sorisole (suo paese natale nel 1916) gli dedica un libro (Ab inferis ad astra) curato da Linuccia Ghilardi con lo scopo di portare a conoscenza tutti gli sforzi umani e professionali di un uomo che, per l’epoca in cui ha vissuto (muore nel 2009), ha perseguito importanti obiettivi di elevato valore scientifico. “Partendo dai ‘sassi’ raccolti sul Canto Alto – precisa Ghilardi – Rocco Zambelli affiora dai duri tempi del dopoguerra come una figura capace di ottenere solidi risultati avvalendosi delle numerosi passioni che la gente comune reputava ‘cose inutili’. La speleologia, la fotografia, la ricerca e lo studio dei fossili, il piacere della divulgazione, il giornalismo sono tutte attività che negli anni si sono intrecciate per soddisfare al massimo il suo desiderio di conoscere e far conoscere”.

Linuccia Ghilardi, curatrice del libro dedicato a Rocco Zambelli

Zambelli amava ripetere di “non smettere di cercare”, un compendio di quanto esprimeva già Platone nell’Apologia di Socrate ovvero “una vita senza ricerca non merita di essere vissuta”. E Zambelli ha dedicato la sua vita nell’andare sempre più a fondo, sia in senso letterale quando si contorceva nei cunicoli delle grotte, sia in senso figurato quando alla scienza già scritta aggiungeva capitoli inediti. La scoperta del suo rettile volante è uno di questi capitoli. Prima del 1973 il rettile volante più antico apparteneva a un fossile di Dimorphodon (denti di due forme) ritrovato in Inghilterra e datato circa 180.000 milioni di anni fa. Con la scoperta di Cene in una lastra del calcare di Zorzino, Zambelli ha portato indietro la lancetta di altri 20 milioni di anni (triassico superiore).

Da lungo tempo gli specialisti – scrisse allora Zambelli nel presentare la sua scoperta – stavano cercando le origini e gli anelli intermedi della evoluzione dei rettili volanti, questo strano gruppo di lucertole che abbandonò il suolo per elevarsi e librarsi nell’aria. Il rettile volante di Cene pertanto non è solo una curiosità per il fatto che è il più antico vertebrato che abbia mai volato: esso è anche un importante anello della catena evolutiva. Alcuni dei suoi attributi sono diversi da quelli degli altri rettili volanti. La caratteristica più appariscente è data dai denti: fitti, alcuni conici, gli altri a tre o cinque cuspidi ”. Il genitivo latino “ranzii”, accanto a Eudimorphodon, è in onore di Silvio Ranzi, zoologo dell’Università di Milano, grazie al quale il reperto è custodito nel museo della Cittadella in Città Alta.

Il più antico rettile volante conosciuto, l’Eudimorphodon ranzii

Del “Caffi”, Zambelli diventò “curatore straordinario delle raccolte palentologiche” nel 1957. Inizialmente fu un incarico temporaneo a scadenza (4 mesi), successivamente rinnovati fino all’assunzione definitiva conseguente al superamento di un concorso pubblico svolto nel 1969. Oggi si parla tanto di precariato, ma le condizioni di Zambelli come neoassunto non erano delle più felici tanto da costringerlo a scrivere direttamente al sindaco Costantino Simoncini: “Mi perdoni – scriveva lo studioso – se Le rubo qualche minuto per un problema personale. Da dieci mesi dormo su una branda nel mio laboratorio che custodisce anche le raccolte di Botanica e quelle entomologiche; ed è in più passaggio obbligato per gli unici gabinetti del Museo. Non c’è posto per alcuno mobile nel quale riporre il mio vestiario. Metto a disposizione del Museo tutto il mio tempo e studio: né credo possibile compiere proficuamente il mio lavoro, qualora per guadagnarmi da vivere onestamente , mi dessi anche ad altre occupazioni”.

Al fine della lettera Rocco Zambelli chiede un aumento di stipendio così da poter “affittare due stanze ad avere anch’io un po’ di tranquillità in compagnia di mia sorella. Ed anche il mio lavoro ne avvantaggerebbe”. L’aumento gli viene concesso il mese dopo con il rinnovo del contratto. Altri tempi! Diceva di sé: “Passo il tempo a leggere e a studiare. In questo modo cerco sempre. Cerco una verità. In tutta la vita ho sempre cercato dietro le apparenze. Cercare, scoprire, che cosa c’è di più bello, di più interessante nella vita? Mi viene tristezza se penso a quanti ragazzi buttano via il loro tempo incollati alla televisione, perché fuori dalla porta c’è tutto l’universo che ci aspetta. Aspetta noi, aspetta di essere guardato, ammirato, indagato. Le grotte, le rocce, le montagne, gli alberi, le stelle, il cosmo, gli esseri umani stessi…“.

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