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Fazil Say potremmo definirlo un pianista classico prestato al jazz, ma anche un jazzista prestato alla classica. Definizione comunque riduttiva. Come tutte le definizioni. Fazil Say è in ogni caso un musicista assoluto, un fuoriclasse dell’arte dei suoni intesa come strumento di conoscenza, come ponte di collegamento tra esistenza umana e aspirazione all’inconoscibile.

Il pianoforte per Fazil Say è un medium per comunicare in linea diretta con la mente e l’immaginazione dell’ascoltatore. Di ogni ascoltatore. Di tutti. Non si serve della tastiera per mettere in vetrina (come la moda delle ultime generazioni pianistiche, specie orientali, va sempre più imponendo) virtuosismi o strabilianti abilità tecniche, che pure possiede.

Non si serve della testiera per magnificare il repertorio di un autore piuttosto che di una specifica corrente. Il solista turco (non a caso perseguitato dal regime di Erdoğan) intende il pianoforte e la musica come spazio vitale per manifestare la totale libertà di pensiero e di esplorazione artistico-umana. Personificando un pianissimo purissimo dove la sapienza espressiva e la profondità interpretativa adottano una psicologia comunicativa all’interno della quale qualsiasi ascoltatore può identificarsi con le proprie aspettative emotive, intellettuali, affettive. In un connubio naturale di suoni, benessere, divertimento, riflessioni.

La sua stessa postura e mimica gestuale (corpo indissolubilmente legato alla mobilità del discorso sonoro, e  mani-braccia a plasmare  l’eloquio compositivo) contribuiscono a esplicitare un tutt’uno tra solista, musica, pubblico. Dove la comunicazione è implicita dell’empatia naturale del tutto, nell’istante stesso in cui l’evento concertistico avviene. A prescindere da formalismi, esibizionismo, preconcetti. Fazil Say è un unicum nel panorama pianistico internazionale. Dopo la sua performance il pubblico esce dal teatro non solo soddisfatto e divertito, ma arricchito, più completo di quando vi è  entrato.

Questo abbiamo colto l’altra sera al teatro Donizetti di Bergamo nell’ambito della 60esima edizione del Festival Pianistico internazionale Brescia-Bergamo. Say ha proposto uno Schubert (Sonata in si bemolle maggiore D 960) di una illuminante modernità, intessuta di chiaroscuri espressionistici e romantici allo stesso  tempo. Di interrogativi percussivi esaltati in una forma sonata di inattesa attualità. 

Un Ravel (Miroirs op. 43) sorprendente all’interno del quale il novecento impressionista incontrava spontaneamente il contemporaneo affermarsi del jazz. Per chiudere con una composizione personale “A la carte” dove creatività intelligente e folclore turco illustravano esplosioni dinamiche e timbriche di alta seduzione sonora. Il tutto amalgamato ad un sorprendente summertime dove jazz e classicismo si specchiavano, insieme alla mozartiana “Marcia turca” esaltata nel jazzismo rapsodico. Indimenticabile. Pubblico in fascinoso delirio.

Foto di copertina tratta da www.facebook.com/festivalpianistico

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