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C’è stato un lungo periodo, 3 o 4 decenni fa, in cui il Tour de France lo vincevano i dopati. Quando poi i tecnici dell’antidoping li trovavano colpevoli, essi si ritiravano dall’agonismo ma capitava che tornassero nell’ambiente con altri ruoli, per esempio come dirigenti di squadre. Adesso, a quanto pare, non è più così. Anche i dirigenti delle squadre sono cambiati. Ci sono nuovi modi di interpretare le corse.

Una disamina delle differenze di persone tra «vecchio» e «nuovo» ciclismo l’ha fatta Mirko Graziano per il Corriere della Sera cartaceo dello scorso 24 luglio, notando per esempio che nel Tour 2023, finito il giorno prima, il vincitore è stato un danese, Jonas Vingegaard, davanti a uno sloveno, Tadej Pogacar. I corridori e le squadre di potenze ciclistiche tradizionali, come Italia, Francia, Olanda, Belgio, sono stati spesso nelle retrovie.

Quelli forti dei giorni nostri, però, hanno un modo di correre che a volte sconcerta. Un esempio eclatante lo si è avuto nella 18ª tappa, quella corsa giovedì 20 luglio. Il percorso era di quelli facili, cioè senza migliaia di metri di montagne da scalare. Quando succede così, di solito nei primi chilometri va via una fuga, che a poco dal traguardo il gruppo riprende per decidere chi vince in una volatona ad altissima velocità.

Sembrava così anche stavolta. La fuga iniziale era composta da Victor Campenaerts, Kasper Asgreen e Jonas Abrahamsen. Il gruppo, guardingo, li teneva quasi a vista, con un vantaggio intorno al minuto. Campenaerts e Asgreen sono infatti due specialisti riconosciuti delle cronometro (il primo vanta 5 medaglie internazionali nella specialità tra Mondiali ed Europei, tra cui 2 ori – come riporta la pagina della Wikipedia a lui dedicata, al link: https://it.wikipedia.org/wiki/Victor_Campenaerts).

A 80 km dal traguardo, un compagno di squadra di Campenaerts alla Lotto Dstny, Pascal Eenkhoorn, ha tentato di andare in fuga. Anche lui non è l’ultimo arrivato: nel 2022 è stato campione olandese della corsa in linea.

In gruppo qualcuno ha reagito: Jasper Philipsen. Nemmeno lui uno qualsiasi, soprattutto nel Tour 2023 in cui aveva già vinto 4 tappe, era arrivato 2° in un’altra e, domenica scorsa a Parigi, ancora 2° in volata. Insomma il titolare della maglia verde di miglior velocista della corsa (e, in questo periodo, probabilmente del mondo).

Philipsen è andato a riprendere Eenkhoorn, lo ha stretto a bordo strada con modi un po’ da bullo e gli ha fatto un discorsetto.

Dal punto di vista della maglia verde, che alla fuga si aggiungesse un altro elemento, per di più compagno di squadra di uno già presente, sembrava un serio pericolo. Come minimo avrebbe dovuto far fare alla propria squadra, la Alpecin Deceuninck, molta fatica in più per l’inseguimento.

A ogni modo Eenkhoorn, per il momento, non è riuscito a fuggire, e le cose sembravano rientrate nella normalità.

Ai meno 65 km, però, il blitz di Eenkhoorn è riuscito. E la tappa è diventata all’improvviso velocissima. Già prima si andava a 50 all’ora, negli ultimi km ci sono stati tratti corsi a 70 all’ora. Davanti 4 cronoman che si davano il cambio, dietro a meno di 1’ il gruppone di oltre 100 inseguitori.

Poi il vantaggio è sceso a 50”. Poi a 30”. Nei tratti di rettilineo il gruppo vedeva i fuggitivi, sembrava che fossero solo lì da riprendere.

Ma l’episodio di bullismo aveva indispettito quelli della Lotto. Nessuno della Alpecin doveva vincere. Piuttosto un altro, ma non un Alpecin.

Sul rettilineo d’arrivo sembrava dovesse riviversi il solito dramma di tante fughe, con quelli che avevano condotto per tanti chilometri (quasi 180 in questo caso) stremati e superati da quelli del gruppo proprio negli ultimi metri.

Invece, stavolta, no. Grazie alle trenate dei 2 Lotto, la fuga è arrivata. A vincere è stato Asgreen (della Soudal Quick Step). Philipsen è stato 4°.

Come bambini dell’asilo, circa. Superpagati, professionisti al massimo livello, ma spinti da motivazioni basali: pochi ragionamenti razionali, ma che i nemici non vincano.

Che roba, questo «nuovo» ciclismo…

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Autore

Guido Tedoldi

Nato nel 1965 nel milieu operaio della bassa Bergamasca. Ci sono stato fino ai 30 anni d’età, poi ho scelto di scrivere. Nel 2002 sono diventato giornalista iscritto all’Albo dei professionisti. Nel 2006 ho cominciato con i blog, che erano tra gli avamposti del futuro. Ci sono ancora. Venite.

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