Gli autori de La donna della domenica vi mettono la Torino che conoscono e frequentano. Via Mazzini, dov’è lo studio della vittima e via Peyron dove abitano madre e sorella. Il cinema a luci rosse nei pressi di Piazza Carlo Alberto dove l’architetto Garrone, la vittima, con fama di scroccone e voyeur, si è appena recato a vedere La sferza, su consiglio del barbiere. Il Commissariato è in Borgo Dora, e in via Mercanti la casa del commissario Santamaria che nelle meditazioni sul Lungopò cerca di trovare il bandolo della matassa, tra vedute incantevoli e squarci lugubri della città. La casa di Anna Carla, moglie dell’industriale della S.p.A. Dosio si trova nella centralissima via Cavour e, a pochi passi, in via Santa Teresa, il suo parrucchiere, un anno di apprendistato a Parigi e in programma vacanze a Tahiti. Nel negozio conviene una clientela scelta, anche la signora Tabusso che vive con la sorella svagata, perciò è lei che fa tutto, e protesta con la Dosio di multe e di chi vive a sbaffo, mentre lei subisce l’invasione della sua proprietà in collina, detta Cascina delle buone pere, ormai pattumiera di Torino Sud, per prostitute e clientela varia: “Hai voglia che intervengano le forze dell’ordine o la Buoncostume”. Tutti buoni a voltarsi dall’altra parte.
Sul corso Regio Parco si trova la ditta Zavattaro donde è uscita l’arma del delitto, l’itifallo o fallo di pietra calato con violenza sulla nuca del povero uomo. In via Maria Vittoria è la galleria d’arte dove il Garrone faceva qualche capatina portandovi saltuari acquirenti, “più danno che guadagno” a detta del Vollero, il proprietario che se la prende con il gusto dilagante dell’arte moderna, con primari e commercialisti affermati disposti a mettersi in casa (pagandoli milioni) sedie rotte e rubinetti arrugginiti. Tanti i luoghi che i due scrittori in sodalizio mettono della loro Torino, posti da venir voglia per una visita guidata. Fino al Balùn, il mercato dell’usato, calamita che al fine settimana attira tutti e tutte, per roba che la gente sogna di mettersi in casa e magari la segreta speranza di trovarci un Van Gogh, dove i protagonisti della nostra vicenda convengono in un giallo che si complica e insieme accelera verso la soluzione.
Sono giorni di prima estate, dell’aria bruciante, del caldo che infiacchisce, dell’afa che rende i vestiti appiccicosi e costringe a ripetute docce, di notti insonni, donne che si svestono, impiegati dalle camicie sbottonate e operai in strada con le spalle lucide di sudore. Il racconto entra subito nel vivo (F&L si divertiranno a raccogliere i migliori incipit della letteratura): “Il martedì di giugno in cui fu assassinato, l’architetto Garrone guardò l’ora molte volte”. Dopo una telefonata al bar e lasciata una cospicua, inusuale mancia alla cameriera si ritira nel suo appartamento. Aspetta qualcuno. Il cadavere è trovato da un pensionato dello stabile che stava rincasando col suo cane. “Era stato l’intelligente animale a spingere il battente, mettendo così il padrone davanti al raccapricciante spettacolo”. Tra gli indizi, una lettera rinvenuta nel cestino della carta che i coniugi sardi di casa Dosio, appena licenziati, portano alla polizia. Parole compromettenti venute a proposito per consumare la loro vendetta: frasi “il Garrone è da far fuori, una volta per tutte”. Con l’aggiunta: “facevano comunella i due”, “si sentivano continuamente al telefono”.
Si tratta della giovane e avvenente signora Dosio e di Massimo Campi, suo amico, altro rampollo della Torino bene, “figlio dei miliardi di suo padre”. Dovendo indagare in certi ambienti il commissario chiede autorizzazione dal superiore, ricevendo la raccomandazione: “Discrezione mi raccomando, muoversi coi piedi di piombo; lo sa meglio di me, Santamaria, in queste storie di appalti”. Il delitto è infatti collegabile al mondo degli appalti, affari di milioni, in una città rivoltata in ogni angolo da costruzioni e ristrutturazioni. Lo capisce anche Lello, altro amico di Massimo quando viene a sapere del sospetto che grava sul suo compagno. Tra i due corre un affetto. Avevano in vista le vacanze da fare insieme, magari in Grecia. Si sono incontrati, “senza baciarsi s’intende, che sa di marito e moglie”, e Lello sapendo del guaio dell’amico si è proposto di scagionarlo. Lavorando agli uffici comunali conosce gli anfratti della burocrazia e le oscure forze che dentro si muovono.
Lo stesso commissario si convince presto dell’estraneità della Dosio e di Massimo Campi. Crede alla loro versione. La frase incriminata è nata su un battibecco tra loro. Come pronunciare la parola “Boston”? baast’n o bast’n come lo diceva il Garrone? Quell’impiccione era nella cerchia delle loro conoscenze, nulla più, lo consideravano una macchietta, una specie di maschera del teatrino delle loro considerazioni e un loro modo di divertirsi. I due collaborano alle indagini. Vogliono sapere del caso, e con la bella Dosio il commissario andrà oltre i doveri professionali.
La donna della domenica uscì negli anni ’70. Non vi compare la “fabbrica per eccellenza di Torino” ma il mondo che quella aveva creato. Oltre la Torino bene ci sono gli impiegati comunali che vanno a mangiare nella Trattoria Dante e intanto “parlano della collega che si fa le ferie anticipate, dell’altro che è ancora in mutua tanto per cambiare”. E’ una città che offre lavoro, che si riempie di meridionali con i problemi e i pregiudizi che li accompagnano: “Affittare ai meridionali? come prenderne due garantiti e senza bambini, e dopo tre mesi ritrovarsene sulla testa quattordici”. Ci sono gli artigiani che non stanno con le mani in mano, tombaroli e marmorini che il lavoro, brutto che sia, non hanno bisogno di cercarselo. Ci stanno gli ecologisti, fautori di un ritorno alla natura, simpatizzanti di comunità anti sistema, che si ritrovano a vedere documentari fuori commercio di comunità americane, gente libera, che vive sul fiume, dai vestiti multicolori e sfrangiati, amuleti e collane, con bimbi che scorrazzano nudi.
Il romanzo La donna della domenica riscosse un immediato successo, un bestseller nazionale e internazionale. Più di quattrocento pagine che si leggono con gusto e suspense, racconto ben scritto da signori che il giallo avevano frequentato, come cronisti di giornale e autori di antologie, passati da Einaudi a Mondadori per curare la collana di fantascienza Urania. Una coppia affiatata, unica nel panorama letterario italiano. Pare che le idee venissero da Franco e che Carlo sapesse tradurle in scrittura. Quando chiesero a Carlo Fruttero se non sentisse mai la voglia di affermare la sua personalità individuale? “No, fu la risposta, scrivendo insieme abbiamo realizzato il sogno di ogni scrittore che è quello di avere qualcuno vicino che gli dica, in totale sincerità e competenza, se quello che ha scritto è bello o brutto”.
Disponibile su Amazon
