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L’estetica richiama la bellezza; ma come parlarne nel contesto negativo del nostro tempo? “Il capitalismo di oggi ha creato attraverso il fascino della seduzione un nuovo mondo, ha affossato antiche forme di appartenenza, ha sconvolto ragioni di vivere, ha dissolto strutture tradizionali, ha dato priorità a valori privati. Ha effettuato una rivoluzione non con la forza delle idee né per violenza politica ma con la seduzione dell’offerta mercantile.” (G. Lipovetsky, Piacere e colpire).

Il capitalismo “seduttivo” agisce attraverso il nostro sentire (eisthesis), secondo ciò che ci piace o non ci piace, e come vorremmo apparire sulla scena del mondo. Con i suoi influencer cerca di catturare il nostro gusto, costruire la nostra immaginazione e alla fine impadronirsi della nostra anima. Ci priva di autonomia e senso critico e finisce per annullare la nostra libertà proprio nella parvenza di curarla. Creando l’uomo consumatore le macchine del sentire lavorano per una nuova esperienza di bellezza.  Grazie alla pervasività delle tecnologie fa sì che il loro sentire diventi il nostro. Una volta convinto di “ciò che mi piace” chi può poi convincermi che in realtà “ciò” non mi piace?

La nostra è epoca non è più l’epoca del pensare o dell’agire; piuttosto è l’epoca del sentire ma un sentire programmato, ricalcato come per l’ideologia. Seguiamo il gusto che ci è propinato. (M. Perniola, Del sentire).  Ma se dall’ideologia si può uscire, magari con una catastrofe, il gusto non ammette dispute, comprime, toglie spazio alla riflessione. Si sceglie non in base a ragionamenti stringenti ma secondo quanto desideriamo, per immagini di desidero o desiderio dell’immagine che di noi vogliamo dare agli altri.

Gli abiti percettivi sono difficili da cambiare, radicati nel corpo sembrano naturali. Da qui la crescente estetizzazione della vita, alla ricerca della salvezza del bello (Byung-Chul Han) che è oggetto di piacere effimero, confortevole, non il bello che vincola alla responsabilità. Tutto si subordina allo star bene, sciolto dal bene comune. Viviamo le tragedie attraverso la Tv, sulla poltrona di casa; ma “nella prosperità l’uomo non comprende” (Salmo 49).

Con la pandemia abbiamo avvertito sentimenti di fragilità, impotenza, paura, solitudine, di morte. Le relazioni personali sono state messe alla prova. Abbiamo percepito il peso dello spazio e del tempo. Poi come rugiada del mattino tutto si è dissolto e siamo tornati nel vortice della vita di prima.

Riflettiamo sull’esperienza estetica: essa apre nel tempo un altro tempo. Corrisponde al bisogno dell’uomo che non è soddisfatto dalle varie merci simboliche e dall’industria del divertimento. Ricordiamo la lezione di Dostoevskij: si dipinge l’accettazione della morte con l’austero abito dello stoico o con il volto di fiducioso abbandono alla provvidenza. In realtà è un mistero squallido, ha odore della decomposizione cui siamo obbligati a torcere gli occhi. La pacifica accettazione a priori è inganno, incompatibile con la vista dello spaventoso abisso della sofferenza e del nulla. La bellezza salverà il mondo? È la domanda del giovane malato di tisi che sta per morire. In realtà è domanda sulla morte e sulla sofferenza, senza consolazione. (S. Quinzio, Dalla gola del leone)

D’altronde sono vere le parole di Keats (Endymion): “Una cosa bella è gioia per sempre, mai passerà nel nulla”. La bellezza è dono gratuito, gioia dell’esistenza la cui manifestazione va oltre il limite del tempo. E’ l’essere che resiste al nulla. E’ traccia divina e chi l’incontra prova stupore e spavento (Plotino). L’anima ricorda di appartenere alla luce e la cerca in un rischioso percorso per la vera patria.

Rimane il paradosso: il legame tra male e bellezza (F. Cheng, Cinque meditazioni sulla bellezza).   La bellezza può essere strumento di inganno e di dominio. Può rovinare la vita. Appartiene alla gratuità e come tale comporta un’ingiustizia. La bellezza ha l’impronta di due facce, la morte e la vita. Sorge dal nulla e nel nulla si dilegua. Appare nella luminosità e nello sbocciare del fiore per spegnersi e precipitare nell’abisso. La bellezza appare e non sta, attrae ed è segnata da radicale contingenza. Appartiene al darsi e al non darsi.

La bellezza non esiste per sé, è per l’incontro. Né solo oggettività – “bello perché è bello” – né solo soggettività – “bello perché piace” – ma in relazione. Permette di sentirsi insieme pur sotto minaccia dell’assenza, uniti e separati. Ciò che la bellezza rende unico avviene nella ferita del perdersi. E’ unicità nel tempo, perciò transeunte, legata alla nostra condizione di esseri mortali. Qui risplende il finito, il contingente, l’unico e come tale infinito. La bellezza risplende nella sua determinatezza e risplendendo interroga, chiama. Risplende nello spegnersi “come carbone che si spegne” (Joyce, Dedalus).

L’esempio di bellezza che produce valore, che riguarda la perdita di ciò che è caro e che è sguardo alla salvezza dell’umano come atto di pietas, capace di avvicinarsi con pudore all’altro bisognoso, è dato dalle immagini di Mario Giacomelli nella raccolta “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, preso da una celebre poesia di Pavese.

E’ sguardo sull’imminenza della morte, sguardo di autenticità che spazza ogni retorica. Sono immagini di anziani in ospizio, luogo di emarginazione dalla società dell’efficienza. “Vorrei che gli altri nel momento in cui vedono queste fotografie vivessero diversamente. Con esse mostro me, le cose che non ho capito o avrei voluto fare; e vorrei ricominciare”. “Vorrei che lo sguardo incontrandosi con la luce del mondo divenisse forma delle persone e desse anima a incontri tra anime”. E’ un tentativo di mettere in luce la verità dell’esistenza umana nell’approssimarsi alla tenebra.

Giacomelli gioca sul bianconero. Le forme si fanno effimere e nette. Il nero segnale di indistinzione e che impedisce il riconoscimento delle forme qui si fa potenza delle forme. La luce consente al nero di risplendere e il loro risultato ci interroga. Nei limiti dei corpi e della loro vita siamo costretti a guardare e a vedere bene, uno sguardo rispettoso. Ecco la bellezza.

(Roberto Diodato a Noesis 202/23. Sintesi della lezione dal titolo Logos estetico all’Auditorium Mascheroni di Bergamo, 14 marzo 2023)

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