Biondi immobiliare

Per una occasionale indiscrezione siamo venuti l’altro giorno a conoscenza di una curiosa notizia che abbiamo cercato di appurare e di precisare, per quanto possibile, nelle sue circostanze: che, cioè, il Maresciallo Tito, Josip Broz, – un nome di viva e dolorosa attualità per gli italiani – sarebbe stato ospite per un giorno e una notte alla fine del 1943 o nelle prime settimane del 1944 di un’animosa partigiana delle Ghiaie di Bonate, la trentenne Giuseppina Previtali, che durante la lotta clandestina era nota sotto il nome di Pina l’infermiera, combattente della Liberazione. A distanza di dieci anni non é facile precisare quanto di vero o di supposto vero vi sia nei ricordi di Pina l’infermiera che tuttora risiede con il fratello alle Ghiaie di Bonate, in un modesto quartierino dove noi siamo andati a trovarla per farci narrare direttamente la storia della sua avventura.

Bisogna dire subito che Giuseppina Previtali è veramente una benemerita della lotta clandestina, combattuta arditamente nonostante le feroci repressioni dei nazi-fascisti. La Pina, che aveva allora poco più di vent’anni, per la sua opera di assistenza ai prigionieri di guerra fuggiti l’8 settembre dal Campo di Concentramento della Grumellina, molti dei qual si erano rifugiati nelle campagne fra Bonate, Ponte S. Pietro, Mapello, Palazzago, aveva finito per entrare in contatto con i membri dei Comitati segreti che lavoravano per la Liberazione: i nomi del sen. Rino Pezzini, dei fratelli dott. Bruno e Mimma Quarti, di Beppe Valsecchi, di Mario Invernicci sono ancora oggi familiari a questa simpatica figura di giovane che, dopo aver salvato prigionieri, aiutati patrioti, terminata la guerra senza nulla chiedere, ha ripreso la sua consueta vita di lavoro. Con la Pina, suo compagno di ardimento e di audacia, va ricordato Angelo Rota, un anziano contadino delle Ghiaie, deceduto lo scorso anno, noto sotto il nome di battaglia di Francés: inglesi, slavi, greci, russi, neozelandesi, marocchini, furono accompagnati dalla Pina o dal Francés attraverso la Valle Brembana o la Val d’Ossola in Svizzera, sani e salvi, dopo essere stati per oltre sei mesi tenuti nascosti, alimentati, curati nelle cascine attorno alle Ghiaie di Bonate, di Presezzo, di Terno, di Ambivere.

La stessa popolazione della zona, oltre ai Comitati segreti, provvedevano al loro sostentamento. Ma la Primula del Brembo, anche se ricercata a Bergamo, a Milano, a Domodossola, a Como, con la sua aria di contadina e di borsanerista, rimase inafferrabile sino alla fine di quel drammatico periodo. Questo abbiamo voluto dire per delineare la figura della protagonista dell’episodio di vita clandestina che stiamo per narrare sulla versione fattaci dalla stessa Pina; episodio nel quale si inserisce, in modo più o meno certo, il nome di Josip Broz: oggi Maresciallo Tito, il dittatore slavo che minacciosamente contende il ritorno dell’Italia a Trieste. Può darsi che nuove testimonianze vengano in seguito a precisare fatti e circostanze dell’episodio stesso. Che Tito sia stato in Italia in quel periodo turbinoso è certo; che sia stato alle Ghiaie di Bonate fra i prigionieri Slavi nascosti in quelle campagne rimane da accertarsi. Comunque ecco i fatti.

Una sera del dicembre 1943 o del gennaio 1944, poco prima di mezzanotte, la Giuseppina Previtali, che per ragioni di sicurezza, data la sua attività di cospiratrice, dormiva con il fratello nella cascina dell’Angelo Rota, il Francés, isolata in aperta campagna, fu richiamata da alcuni colpi discreti battuti all’uscio della cucina, ove essa vegliava a cucire biancheria per i prigionieri nascosti nella zona. Aperto l’uscio si presentò un ufficiale jugoslavo già da lei conosciuto sotto il nome di Nicola il quale le chiese ospitalità per sé e per un’altra persona che lo seguiva. I due vestivano entrambi in borghese e sull’abito indossavano l’impermeabile. Lo sconosciuto, entrato in cucina, apparve subito per  un capo: autoritario verso il Nicola ma cortese verso la Pina. Avrebbero mangiato volentieri qualche cosa. La Pina fu lesta a preparare delle uova al burro, che servì con della polenta rimasta sul tagliere, e con un fiasco di vino. Lo sconosciuto volle sapere perché  la Pina avesse il soprannome di infermiera; poi si compiacque per la sua assistenza ai prigionieri, ma soprattutto ai partigiani di Tito con i quali egli era venuto a parlare.

Ma come parlava?” Chiediamo alla Pina. In un discreto italiano, anche se un po’ stentato. Il Nicola invece parlava meglio. Ma quando discorrevano fra loro non era possibile comprendere… Mangiarono con buon appetito. Anche i bicchieri si vuotavano rapidamente. Soprattutto il vino piaceva allo sconosciuto; il quale, ad un certo punto, senza esitazioni, mi disse che era ricercato dai tedeschi e dai fascisti i quali avevano messo una taglia di cinquantamila lire per averlo nelle mani vivo o morto… L’altro, il Nicola, stava a sentire e mostrava un grande rispetto verso quel personaggio: era lui stesso che gli cambiava il piatto, che gli versava da bere, che gli accendeva la sigaretta. Certamente era il suo capo. Infatti ricordavo che i prigionieri jugoslavi da più giorni mi andavano dicendo che era imminente l’arrivo del loro capo, il quale avrebbe deciso se farli partire per la Svizzera accompagnati da me o dal Francès, o se, invece, avessero dovuto rimanere ancora nascosti a Bonate…

Dopo cena i due parlarono a lungo fra loro; poi, prese le coperte che avevo messo a loro disposizione, salirono nel fienile, ove trascorsero la notte. Il giorno dopo, sia il Nicola che lo sconosciuto – soltanto alla partenza egli mi disse di chiamarsi Josip Broz – rimasero in casa tutto il giorno: uscirono solo per poco nel campo attiguo alla cascina ed io approfittai di quella occasione per scattare una fotografia, avendo prima avuto il consenso dei due. A questo punto la Giuseppina Previtali, interrompendo il suo discorso apre un cassetto della credenza e fra molte fotografie di prigionieri da lei scattate e conservate, me ne mostra una del formato 6×9 che ritrae il Josip Broz : alto, piuttosto tarchiato, a capo scoperto, le mani ficcate nelle tasche dell’impermeabile e accanto a lui il Nicola, un uomo apparentemente più giovane dal viso duro anche lui con l’impermeabile. Qualche lineamento della fisionomia di Tito anche a noi pare di intravvedere, meglio di indovinare sulla fotografia che la Pina ci mostra. Certo è un volto ben diverso da quello pieno e grasso del Dittatore jugoslavo, come siamo soliti vedere nelle fotografie di questi ultimi tempi. Tuttavia ricordiamo anche noi una serie di fotografie di Tito pubblicate da L’Europeo in occasione della sua visita a Londra di qualche mese fa, in cui è più facile trovare una somiglianza con il Josip Broz fotografato da Pina, la infermiera.

E’ appunto stata questa fotografia de L’Europeo che ha richiamato alla Pina il ricordo di quel capo di prigionieri slavi, suo ospite alle Ghiaie di Bonate. “E come andò a finire la visita di Josip Broz?” Chiediamo alla Pina che ci mostra anche un numero del Campanone del 10 febbraio 1946 in cui é illustrata ed esaltata la sua attività di partigiana. Andò a finire – riprende a narrare Giuseppina Previtali – che il Broz rimase tutto il giorno in casa; il Nicola si allontanò invece e ritornò la sera. Credo che durante la giornata si fosse recato a visitare i suoi prigionieri. La sera servii ancora uova al burro, polenta e vino e poi prima di mezzanotte i due si apprestarono a partire. Fu allora che lo sconosciuto, ringraziandomi per l’ospitalità, mi disse di chiamarsi Josip Broz e mi assicurò che si sarebbe ricordato della Pina l’infermiera per l’assistenza che io prestavo ai suoi connazionali: essi resteranno ancora qua per un po’… Verrà Nicola a prenderli. E così dicendomi, mi strinse la mano ed uscì seguito dal suo ufficiale. Continuai il mio lavoro per un altro mese, sino a quando ritornò Nicola, dicendo che con lui sarebbero partiti i partigiani di Tito che erano una quindicina tutti nascosti da settembre nelle cascine qui d’attorno, o qui scesi dalla zona dell’Albenza, perché minacciati dalle retate dei tedeschi.

Dei prigionieri jugoslavi non vollero invece partire i tre fratelli Senicìt di Belgrado, ufficiali d’aviazione, che accompagnai al confine della Svizzera, ove mi risulta che ancora si trovano ed un certo Drago, che attualmente risiede a Basilea, non potendo rientrare in Jugoslavia, ove i suoi familiari sarebbero stati incarcerati e che quest’anno ha fatto ritorno qui alle Ghiaie per salutarmi e per rivedere i luoghi ove per tanto tempo, grazie all’ospitalità di questi contadini, aveva potuto rimanere nascosto e al sicuro. Credo che anche un altro jugoslavo, il dott. Ivo Alcalais, medico e prigioniero con il proprio infermiere, non sia più ritornato in Jugoslavia. Questo il semplice racconto che ci ha fatto la Pina l’infermiera, la quale per certe vivacissime esposizioni, proprie del suo temperamento e della sua fede di italiana, non si mostra certo soddisfatta di aver dato ospitalità a questo Josip Broz, se questo non meglio identificato Broz era veramente il futuro dittatore jugoslavo, l’oppressore della italianità di Trieste.

Se lo avessi saputo… se fosse stato veramente lui… ripete la Pina e con troppe sospensioni di cui comprendiamo il non troppo oscuro significato.  Ma quel Josip Broz, sarà stato effettivamente il futuro Maresciallo Tito?Mah….!” esclama Giuseppina Previtali. Quando osservai la fotografia di Tito, nel suo periodo partigiano, pubblicata da L’Europeo, io ebbi la certezza di averlo conosciuto nel capo jugoslavo che bussò alla mia porta e che fu mio ospite dieci anni or sono. La fotografia che conservo ricorda quella pubblicata dal settimanale milanese. Certo è che quella sera alla mia tavola era seduto un uomo dinanzi a cui l’ufficiale Nicola stava sull’attenti, da un comando del quale dipendeva la sorte dei partigiani di Tito fuggiti l’8 settembre dal campo prigionieri della Grumellina. Che se Tito fosse veramente stato non sarà certamente il caso di parlare di lapidi commemorative alle Ghiaie di Bonate Sotto.


tratto da una ricerca di Umberto Ronchi:  LE RIVELAZIONI DI UNA EX PARTIGIANA: TITO NEL 1943 SI TROVAVA NEL BERGAMASCO? Il racconto di Pina l’ infermiera – La visita del misterioso comandante jugoslavo nella cascina di Ghiaie di Bonate – Una fotografia rivelatrice.
Print Friendly, PDF & Email