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Nelle maglie digitali di Facebook, Whatsapp, Instagram c’è molto di noi, nel bene e nel male. Senza scomodare il criminologo francese Edmond Locard è incontestabile un’auto contaminazione nel mondo dei social tantoché che se si volesse “saperne di più” su di noi essi costituirebbero una ricca miniera di informazioni.




Un’evidenza che molti genitori trascurano, senza rendersene conto e in assoluta buona fede, quando postano informazioni sui loro figli. “Postare foto dei figli con indicazioni precise di dove vanno a scuola, di quando vanno in piscina, di quando sono soli a casa sono attività rischiose. Questo perchè nel caso un malintenzionato prendesse di mira il ragazzo, grazie ai post dei genitori avrebbe probabilmente a disposizione informazioni sufficienti per perseguire i suoi scopi”. E’ la tesi di Gianluigi Bonanomi, giornalista e formatore lecchese (assidua presenza in Bergamasca in fatto di nuovi media, clouding e gestione online della reputazione), autore per Mondadori del saggio Sharenting, da ieri nelle librerie (copertina).

1) Ci spieghi meglio. Innanzitutto, cosa è lo sharenting?
E’ un termine anglofono che raggruppa tutto ciò che riguarda i comportamenti dei genitori sui social. E’ una fusione tra “sharing”, ovvero condividere, e “parenting”, ossia essere genitori. Per lo psichiatra Elias Aboujaoude (Università di Stanford) la condivisione può facilmente degenerare da pessima abitudine più o meno innocente in quella che viene diagnosticata come “competition attention”. Un bisogno di attenzione che si esprime appunto con l’esposizione del minore. Parlo quindi di qualcosa che sembra un vezzo innocuo e invece nasconde una nevrosi.

2) Dunque figli sovraesposti come profeticamente ha raccontato il regista Peter Weir in “The Truman Show” del 1998 quando i social non erano ancora stati inventati?
Esattamente. I palcoscenici virtuali diventano scenari gratificanti e occasione di condivisione di preoccupazioni, dubbi, domande sulla gestione dei figli, soprattutto nella fascia di età 0-3 anni. Questo ha chiaramente delle conseguenze. Prima di tutto i genitori stanno contribuendo a creare un’identità virtuale del proprio figlio non solo a sua insaputa, ma anche a suo discapito.

3) Un genitorialità vetrinizzata parafrasando un lavoro del sociologo Vanni Codeluppi. Quali sono i dati del fenomeno?
Già un ricerca del 2012 affermava che il 98% dei genitori attivi su Facebook postava foto dei loro figli. C’è chi si è spinto ad affermare che Facebook è diventato il Baby Book del giorno d’oggi. Ma i genitori non hanno cosapevolezza dei mezzi che usano. Uno studio italiano, pubblicato sulla “Rivista Italiana di Educazione Familiare”, attesta che l’88% delle mamme che pubblica le foto dei figli ha dichiarato di aver impostato le opzioni di privacy in modo da limitare la cerchia di persone che possono visualizzare i contenuti. Purtroppo, però, nell’83% dei casi questo si è risolto nel selezionare l’opzione di privacy “Amici”, che in pratica permette a tutti gli amici della mamma di vedere le fotografie – il che, considerato che in Italia abbiamo in media il doppio degli amici Facebook rispetto alla media mondiale (150, ndr.), non sembra come una limitazione significativa. Una soluzione migliore sarebbe quella di ricorrere all’impostazione “Personalizzata”, selezionando in modo specifico i familiari ed eventualmente pochi e veri amici intimi.

4) I pericoli dello sharenting scriteriato?
Partiamo dal più subdolo: la pedopornografia. Nella metà delle foto trovate nei database dei pedofili sono state incautamente messe a disposizione direttamente dai genitori sui social network e sistemi di messaggistica. Sempre per parlare di sicurezza, andando oltre l’adescamento, occorre considerare che pubblicare il volto del figlio associato al suo nome, e ad altri particolari che aiutano a riconoscerlo, lo espone al rischio di furto di identità. Un altro pericolo è relativo al cyberbullismo.

5) Ci sono dati, foto e video dei figli che i genitori non dovrebbero mai condividere?
Bagnetto. Informazioni private. Malattie. Foto di gruppo. Immagini umilianti. Foto imbarazzanti. Attività pericolose per la reputazione dei figli.

6) E figli cosa pensano dei genitori che postano di loro?
Due ricercatori dell’Università di Antwerp (Belgio) hanno organizzato dei focus group con adolescenti tra i 12 e i 14 anni. Le sedute hanno mostrato che, sebbene diversi adolescenti intervistati comprendano le ragioni del comportamento dei propri genitori e credano nelle loro buone intenzioni, molti esprimono preoccupazione, paura e imbarazzo. A suscitare maggior disagio sono le foto buffe o quelle che mostrano nudità.

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