La parola cultura, al netto dei grandi eventi, che senso ha oggi? Social e media l’hanno diluita e dilatata, fruibile (solo?) da chi non si limita all’immediato e non si accontenta di titoli e pillole “audio-visive”. Parlare di opera lirica contemporanea, pur in un territorio come Bergamo che ha saputo generare (uno su tutti) Donizetti, può apparire quasi provocatorio e comunque di raro interesse. Basta varcare il Po, tuttavia, e rimanere sorpresi per non dire increduli. Siamo stato a Reggio Emilia per scoprire che da 22 anni (!) il Teatro Ariosto mette in scena più opere liriche nuove a stagione, appositamente commissionate. Una vera eccellenza nazionale giacché non risultano analoghe manifestazioni lungo la penisola.
E il pubblico partecipa. Giovani compresi. Una operazione culturale che funziona e che per otre 2 decenni ha saputo, voluto, creare un polo d’attrazione ed una mentalità a investire in ciò che ha a che fare con l”esigenza di sapere e di capire. Liberando spazi e risorse ( anche modeste ma efficaci se ben spese e programmate) per chi ha il talento dell’arte e della creatività. In questi giorni abbiamo assistito all’ultima messa in scena: My name is Floria (Opera in un atto in prima assoluta) della compositrice Virginia Guastella. Una performance indubbiamente interessante, valorizzata da una messa in scena snella, incalzante, attraente. Con una regia molto aderente alla musicalità e alla drammaturgia della Guastella (che firma musica e libretto).
Lo spunto è Floria Tosca (eroina pucciniana cui Guastella si rifà anche con brevi spunti testuali e musicali). Ma sembra che il titolo My name is Floria alluda non solo alla protagonista di Tosca ma alla donna in quanto tale. Vittima di un patriarcato culturale dove il possesso maschile non pare accettare rifiuti e separazioni unilaterali, ricorrendo alla violenza istintiva. Come attestano femminicidi quotidianamente comunicati dalle cronache.
L’originalità dell’allestimento della compositrice consiste nel narrare la vicenda di Floria partendo dalla fine. Cioè da quando, nell’opera, Tosca si butta dalle mura di Castel Sant’Angelo dopo aver ucciso lo stalker Scarpia e constatato la morte ( che doveva essere finta) dell’amante Cavaradossi. Ma è morta o si è salvata? Guastella risponde con entrambe le soluzioni. Dapprima Floria giace cadavere, nuda sulla barella di una camera mortuaria, attraversando la scena (unica protagonista) fin quasi al termine dell’opera. Intanto un coro (quartetto vocale che si vede a mezzobusto da un oblò intagliato sul fondale scuro) interagisce col corpo morto assumendo ruolo prevalente: coro alla maniera antica della tragedia greca, che commenta, osserva, partecipa direttamente e empaticamente alla vicenda in atto.
Man mano il cadavere si rianima in virtù di tracce mnestiche musicali che si fanno sempre più esplicite e catartiche. Fino all’ode finale che coincide con la metamorfosi di Floria (della donna?) in una nuova vita: le tracce sonore prima solo mentali, a poco a poco sono evaporate e rivitalizzate in tutti i protagonisti, compagni tutti di cura e di terapia. I quattro coristi non sono più voci estranee ,dal di fuori ma quattro persone con propria individualità e identità così come Floria reintegrata negli umani, torna vestita e viva. Insieme celebrano l’inno alla vita e alla musica. Musica vero motore di rianimazione. Quasi un’apoteosi (anche sonora) che mette felicemente in connessione tutte le dimensioni: quella della luce e dei colori, dei costumi, della partitura strumentale e vocale che esplicitano la possibilità della guarigione e di una vita nuova.
Guastella impiega un materiale sonoro multimediale: suono-rumore simboli della narrazione iniziale, elaborazione elettronica mediante software deformata ex novo al punto da trasformarla in materiale personale. La performance sonora si snoda in vari episodi dove i rapporti tra musica ‘ acustica’, ‘unplugged’ ed elettronica mutano con l’azione drammatica, cui anche le scelte di spazializzazione del suono coinvolgono il pubblico in una esperienza sensoriale multiforme. Valida, intelligente ed efficace la regia, ma anche scene, luci, video di Luigi Noah De Angelis. Molto ben scelti: regia del suono, live elettronics, allestimento multimediale e costumi. Eccellente tutta la parte musicale a partire dal direttore Marco Angius, con Icarus Ensemble e Quartetto Vocale insieme al soprano coraggioso e ineccepibile Maria Eleonora Caminada.
Il numeroso pubblico di giovani e non, ha tributato convinti e calorosi applausi in entrambe le repliche per un successo meritato.