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Tempi difficili per il mondo ortodosso. Sono andato alla ricerca della Chiesa ortodossa russa nel quartiere Carrassi. Il cancello era chiuso. Mi ha subito attratto il cipollotto verde della chiesa. E’ arrivata una signora anziana con il suo cagnolino ben protetto. Mi ha spronato: “perché non suona?”. Ha aperto una donna dai capelli raccolti a cucù, con la gonna scura, lunga e stretta in vita. Al mio desiderio di vedere la chiesa ha raccomandato di farlo con discrezione perché era in corso la funzione. Fatta la rampa di scale mi è giunta la voce tenorile del celebrante che si interrompeva e riprendeva. Rispondeva con timbro delicato una donna che stava alla sinistra dell’Iconostasi, la parete che divide la zona dei fedeli dall’altare della celebrazione. La luce dalla cupola abbracciava la sala ed esaltava le dorature della struttura divisoria, delle cornici e dello sfondo delle icone. Poche donne assistevano. Una si aggirava tra le icone tenendo una corona in mano e accendendo candele.

Al centro dell’iconostasi si è aperta la porta e il celebrante ha continuato or dentro or fuori a gesti e salmodie, con aspersioni e incensazioni, avanzando con il libro sacro o con il cero acceso, mostrando ed elevando invocazioni in un dialogo tra fedeli muti, in una lingua arcaica e fuori dal tempo. Il rito era di per sé suggestivo, dalla terra al cielo attraverso i sensi, gli occhi e le orecchie. Più che la mente era il corpo coinvolto. Le donne a volte si inginocchiavano, si prostravano, si segnavano, si inchinavano, come ispirate da un moto interno, individuale più che uniforme. C’era spazio anche per il fedele sopraggiunto che scambiato qualche convenevole con una signora e aver accesa una candelina all’icona, si è unito nello stesso atteggiamento di preghiera passiva, senza che il passaggio risultasse brusco. Continuerà questa fede a parlare agli uomini di oggi, nel mondo di oggi?

La Chiesa Russa di Bari era stata voluta e finanziato dall’ultimo Zar, Nicola II, poi trucidato con tutta la famiglia. Si trattava di accogliere i fedeli che venivano a Bari a venerare San Nicola, tanto caro al mondo ortodosso. Da Mosca fu portata una grande icona del Santo di Myra. Questa chiesa voleva essere un ponte tra oriente e occidente. Una comunicazione di fede e di cultura, oggi tragicamente interrotto. Ma Bari mantiene l’aria d’oriente. A Bari mi sento in terra di confine e il suo mare mi fa andare di là.

Putin venne a Bari nel 2007. Sanò le pendenze di proprietà che si trascinavano da decenni. Fece dono alla città di una statua di S. Nicola collocata all’ingresso della piazza della Basilica. Fu collocata una targa sul muro, “a ricordo dei legami secolari” e “a consolidamento dell’amicizia tra i due popoli”. Oggi noi prosaicamente vi leggiamo un progetto di Grande Russia che fa leva sulla sua anima religiosa, un progetto sciagurato.

Sono entrato nella Basilica. Stavano controllando altoparlanti e microfoni per il concerto della sera. Nella cripta ho trovato meno persone del solito per me che manco da due anni. Una donna si è avvicinata all’inferriata che protegge la tomba del Santo. Inginocchiata e dall’aspetto dolente ha allungato qualcosa sulla predella. Dietro, in piedi un uomo e un’altra donna assistevano. Rimasta prostrata per qualche minuto ha poi ripreso quel che doveva trasmettere la grazia. L’ho ritrovata sollevata e sorridente verso l’uscita, davanti alla statua del Santo, quella che a maggio giunge dal mare nella rievocazione del suo arrivo storico nella città pugliese che ne ha sempre custodito gelosamente il corpo.

Ritornando non ho trovato l’autobus pieno. A quest’ora della vigilia di Natale a Bari la gente si spinge in centro per vivere la vigilia. Le donne parlavano del pranzo, cosa volevano preparare. Sentivo parlare di crudo di mare, cime di rape, braciole, burrate, cartellate, pettole. Sono saliti dei ragazzini, come una frotta di passeri. Rapati sulla nuca, i capelli corti, la zazzera, tenevano in mano la busta degli acquisti. Si sono sparsi per i posti liberi e è stato tutto un richiamarsi, vociare, sghignazzare, a radioline accese. Si spostavano come cavallette al scendere di qualche passeggero alle fermate. Gli adulti tacevano, con qualche occhiata di traverso. Loro parlavano senza voltarsi, da cima a fondo, e qualche risposta d’obbligo ad una donna curiosa. Quando sono scesi tra i passeggeri prima stanchi e dimessi è stato un fervore di considerazioni. “A mazzate mi prendeva mio padre” “provare a dir qualcosa” “allora c’era il servizio militare” “neanche si alzava gli occhi quando parlavano”. Ci si è messo pure l’autista a commentare sui bei tempi passati. In effetti con i ragazzini era tornata una ventata della vigilia di una volta.

Link utili:
Comune di Bari
Mangiare nel Salento


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Fonte immagine di copertina: Depositphotos

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