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Diciamolo subito. La presenza di Riccardo Muti a Bergamo è un evento culturale di rilievo. Anzi, in questo anno Capitale della cultura. dove gli eventi degni di tal nome sono stati rari come un diamante vero, scontati (vedi i consueti cartelloni istituzionali, comunque in calendario ogni anno  non Capitale) e anche difficilmente comprensibili (vedi la “Raffa in the Sky” in programmazione proprio in queste settimane dove diversi bergamaschi hanno riferito di sentirsi offesi come cittadini), il concerto del maestro di Napoli al Teatro Donizetti, sabato sera, ha rappresentato, probabilmente, l’appuntamento culturale più alto del 2024.

Premetto che considero Muti il massimo direttore d’orchestra oggi al mondo. 

Che però un uomo della sua personalità e del suo talento venga invitato a  onorare la città di Bergamo per il prestigio nazionale di Capitale culturale ignorandone le radici storiche e l’elevata tradizione artistica, specialmente nella musica, rappresenta una grave caduta di stile. Con l’aggravante di essere stato ospitato nel tempio cittadino della musica intitolato al suo Maestro più celebre e rappresentato in tutti i continenti… e di non avere eseguito un pezzo, uno, di Gaetano Donizetti. 

Trascuratezza? Ma allora sarebbe colpevole. Non osando pensare ad una leggerezza di memoria. Tuttavia impossibile. Per uno che le opere del bergamasco le ha sapute interpretare al punto da restare alla memoria per i posteri. Si provi a pensare se un simile episodio fosse accaduto al Teatro Regio di Parma (ignorando Verdi), o al teatro Rossini di Pesaro (ignorando Rossini).

Invece a Bergamo tutto è passato come se niente fosse. Tutti felici e contenti, lì sul palco del Teatro che si chiama Donizetti. Sindaco e soci, Fondazione Donizetti &  company a congratularsi con l’ospite VIP (tra VIP come si considerano loro). E nell’anticamera del cervello di nessuno (ovviamente la cosa andava fatta prima, in sede di programmazione in una logica di Capitale) una spinta a sussurrare, con la dovuta compiacenza, un pezzo, uno, di Donizetti. Un contentino, toh! Per i bergamaschi cittadini di una capitale concessa per grazia ricevuta, ancorché per eccesso di Covid.

Nessuno. Nemmeno stampa e media locali, tutti osannanti il Maestro, la sua orchestra, il coro, il programma. Per la cronaca: solo musiche di Giuseppe Verdi. Il grande. Il maestro del melodramma nazionale (ma che trovò proprio in Donizetti uno dei modelli lirici in certo qual modo affini alla sua temperie drammaturgica). Dunque. Pensate se Muti invitato a Parma o a Pesaro Capitali della cultura, avesse eseguito solo musiche di Donizetti.

Per la cronaca e per la verità una voce contraria, dal sen fuggita, c’è stata. Quella del maestro Pieralberto Cattaneo autorevole studioso donizertiano che in una lettera a l’Eco di Bergamo,  prima della serata mutiana, sottolineava, con la consueta intelligente ironia, la mancanza nel programma di Muti di musiche donizettiane. Lettera pubblicata in mezzo a tante, a fondo pagina.

Amara riflessione: colpevole la scelta artistica di Riccardo Muti. Ancor più aggravata dalla colpevolezza dei nostri politici e direttori artistici cosiddetti che hanno promosso un evento così lacunosamente culturale e parzialmente musicale. Muti, sordi e ciechi

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Il programma di Muti diretto al Teatro Donizetti di Bergamo

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