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“La vita di conoscenza è la vita che è felice nonostante la miseria del mondo”

(Ludwig Wittgenstein)

Oggi non si parla più di sapere saldo come nella riflessione platonica o di sapere certo come per Cartesio ma di diversi sentieri di verità, modi differenti e legittimi di produrre conoscenza sia nel campo delle scienze naturali che in quello delle scienze umane. La ricerca della verità è un’avventura, un percorso complesso di oggettività legato a interessi pratici. Le domande di conoscenza – interminabile per Freud – vanno formulate semmai in termini corretti.

La verità non è una bella forma nascosta nel pozzo ma un uccello timido che si cattura con strattagemmi” (Conrad, I duellanti). La verità è legata ad un’azione, un fare processuale, un produrre, come suggeriscono le espressioni comuni “notizie da verificare” e “attenersi ai fatti”. Ci sono strumenti e metodi diversi per le varie scienze atte a produrre oggettività.

Come Copernico, sostiene Kant, rovescia la prospettiva mettendo il sole al centro e non più la Terra, così noi dobbiamo cambiare e mettere al centro non la cosa ma il modo di guardare la cosa, non interrogarci su cosa conosciamo ma sul modo di conoscere. L’oggetto della scienza è risultato di una procedura, per le scienze naturali si tratta di sperimentazione e quantificazione, per le scienze legate all’uomo è questione di processi comunicativi o diversi usi della parola.

I neopositivisti degli anni ’30 pensavano ad un metodo unificante tutte le discipline. Tale idea è fallita. Ora si crede a diversi modelli per arrivare all’oggettività. L’oggetto si costruisce (achievement) e non è un dato di fatto, è risultato di uno sforzo dovuto all’integrazione di logica e di sperimentazione, di un quadro teorico e una procedura di osservazione.

Un esempio preso dalla fisica. Si parla di elettroni e di nanoparticelle. Sono oggetti non osservabili. Dice Bergson che dobbiamo liberarci dall’oggetto inteso come cosa, solida e percepibile. Tale era la fisica di Newton: solidi che si muovono su una traiettoria in un certo tempo nel contesto di un paradigma di tipo causalistico.

La sisica del ‘900 è indeterministica. Gli oggetti, in questo caso elettroni e particelle, non sono localizzabili, non sono determinabili in base alla posizione e alla velocità. Sono rappresentabili attraverso un’azione e l’osservazione modifica la stessa condizione del sistema (Giuliano Toraldo di Francia, Le cose e i loro nomi). Si verifica un legame tra modo di osservazione e oggetto osservato.

Così nel campo di studi antropologici. L’osservatore è immerso in un tempo e in una cultura e l’incontro con l’altro, il nativo, pone problemi di dialogo e di accettazione. Non si guarda solo, si è pure guardati. Malinowski (Gli argonauti del pacifico occidentale) parla della difficoltà di mettersi dalla parte del nativo, a volte risulta ostico, ripugnanti i suoi modi di agire. A proposito dei contadini del Centroamerica, fu loro mostrata la tavola di Rorschach, un’immagine per studiare la personalità: essi parlarono di polmoni in decomposizione, scambiando l’antropologo per medico. L’antropologo parte con un quadro teorico poi ma l’incontro con l’altra cultura lo costringe a riflettere e rivedere il proprio sapere.

La scienza è in cammino. L’oggetto è costruito attraverso osservazioni, esperimenti, modelli formalizzati. Il sapere è il risultato di osservazione, rigore argomentativo e interpretazione. Le strade non sono lineari. Gli errori fanno arretrare e tentare nuove piste e bisogna saper cogliere l’inatteso (T. Pievani, Serendipità).

L’astronomo e matematico inglese Thomas Harriot osservò la luna nello stesso periodo di Galileo. Lui con un cannocchiale a 6 ingrandimenti, Galileo a 12 ingrandimenti. Per Harriot la separazione tra zona d’ombra e quella di luce era netta, per Galileo era frastagliata e ne ricavò l’idea di montagne e crateri. I due avevano un retaggio culturale e una preparazione intellettuale diversa. Harriot era influenzato dalla tradizionale rappresentazione della luna ai piedi della Madonna dove la superficie liscia della luna aveva una divisione netta tra luce e ombra. Galileo aveva la visione di universo variegato di pianeti e satelliti, aveva studiato le ombre e le luci dei corpi e una visione teorica migliore.

Nella scoperta interviene l’immaginazione e la capacità di mettere insieme i vari elementi. La verità non è da inseguire come forma essenziale ma da costruire attraverso procedimenti nell’ambito dei fenomeni che si studiano.

(Silvana Borutti a Noesis 202/23. Sintesi della lezione dal titolo A cosa serve l’epistemologia all’Auditorium del Liceo Mascheroni di Bergamo, 31 gennaio 2023)

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