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Agostino (354-430 d.C.) incide ancora nella filosofia contemporanea. In vita il pensiero di Agostino è sempre stato in evoluzione e si è accompagnato poi con il pensiero occidentale. La prima fase del suo pensiero si chiude con le Confessiones (397 d.C.), in cui si esamina sotto lo sguardo dell’Altro e inaugura la soggettività moderna. Con la nomina a Vescovo di Ippona si apre il secondo periodo. C’è uno scarto dal primo. Agostino sottolinea l’impotenza morale dell’uomo e la necessità della grazia di Dio. Così negli ultimi anni della sua vita rilegge e corregge le sue opere (Retractactiones, 427 d.C.) facendosi  assertore della gratuità della grazia, l’irresistibile dono di Dio, di fronte al quale il libero arbitrio si piega, secondo le parole di Paolo: “Cos’hai che tu non abbia ricevuto? Tutto ciò che l’uomo ha, è un dono” (1 Corinzi 4,7).

Se nella prima fase sottolineava la capacità della creatura di inserirsi nel disegno d’amore di Dio per le sue creature, in una visione vicina all’ideale umanistico dell’uomo immagine del suo Creatore e creatore a sua volta, nella seconda fase propone un libero arbitrio sovrastato da forze superiori: “Non compio il bene che voglio ma il male che non voglio” (Romani 7, 19). La libertà, presa dall’amore di sé, naufraga nelle sue aporie: “Niente posso senza la grazia”. Fino al pensiero tragico della dottrina della predestinazione, di fronte al quale la nostra sensibilità moderna inorridisce perché svuota la libertà umana. Il male è opera dell’uomo; alcuni si salvano, ma altri Dio abbandona alla loro rovina.

Agostino muore quando i Vandali sono alle porte della sua città ma il suo pensiero continua a riproporsi. Anche in opposizione, come con Scoto Eriugena, in tempo di rinascita carolingia. Eriugena sottolinea il ruolo della ragione e vede nel pensiero agostiniano sulla grazia un ostacolo alla libertà, una censura dell’autonomia dell’uomo. Tommaso D’Aquino salva l’autonomia dell’uomo guidato dalla ragione ma rimane ancorato alla dottrina della grazia come potere incondizionato di donazione.

Una grande stagione dell’agostinismo è alle soglie del Cinquecento, nel confronto serrato tra Erasmo e Lutero.  In Erasmo riaffiora l’Agostino ottimista, di un Dio creatore che ci assiste nel nostro sforzo di bene, salvaguardando il nostro libero arbitrio. Lutero riprende l’Agostino pessimista, che con la dottrina della giustificazione vede nella libertà una pretesa dell’uomo di sovrapporsi a Dio, di scavalcare la grazia, di affermare se stesso in alternativa. Erasmo richiama l’Agostino del redi in te ipsum, “non cercare la verità fuori di te” perché veritas habitat in interiore homine.  Nella creatura riluce il Creatore e l’uomo con la ragione e la sua libertà può aprirsi alla luce divina. L’immagine di Dio è nell’uomo, basta che rientri in sé.

Lutero invece rivendica il primato assoluto della grazia. Solo la grazia sblocca la libertà presa dal vortice autoreferenziale. Solo se il desiderio è espropriato dalla grazia, Dio si manifesta a me e mi salva. Lutero si riaggancia all’Agostino pessimista, “apocalittico”, che subordina la salvezza dell’uomo al volere di Dio, la libertà alla grazia che è opera dello Spirito (Commento al Vangelo di Giovanni). “Senza il dono divino resto prigioniero del peccato e sono dannato”. L’uomo solo non può impedire l’irruzione del male nel mondo.

Agostino è terreno di scontro tra giansenisti e gesuiti. Pascal è per il secondo Agostino. Ogni atto di carità è sovrannaturale, appartiene all’ordine della grazia, è dono dello spirito. Dio si rivela nel dono dello Spirito che non è dell’ordine naturale, non segue la logica mondana. Dio, nel linguaggio paolino, annienta ciò che ha valore per gli uomini e solleva ciò che è scartato. A noi si dona nella morte e risurrezione del Cristo. E’ un solco che – forzando un po’ – divide gli ultimi Papi: si potrebbe parlare di “primo Agostino” nel gesuita Papa Francesco, sensibile alla responsabilizzazione dell’uomo, e di “secondo Agostino” nel teologo Papa Ratzingher, fiducioso della grazia irresistibile di Dio.

L’agostinismo lascia tracce nella contemporaneità laica. Derrida lo riprende a suo modo. L’uomo deve riconoscere che ogni decisione è autentica se passiva. Ogni atto di libertà è fallimentare se pretende di auto fondarsi. La decisione passiva è dare ospitalità all’altro. Prima della proprietà c’è l’ospitalità. Di fronte alla modernità che vuole dare autonomia all’uomo e afferma il potere della libertà per costruire il mondo, il post moderno decostruisce le nostre certezze, erode la pretesa della nostra libertà di essere il fondamento di un ordine razionale.

Agostino non cessa di parlare. Nell’amore la libertà non comanda. La libertà non è mai libera ma condizionata. L’esperienza dell’uomo nuovo è rivelazione interiore dello Spirito. La libertà che vuole affermarsi è vana; se vissuta come dono è capace di strappare l’uomo dal male e dal peccato. Agostino è stato raffigurato con il cuore in mano, secondo le parole “ardiamo e andiamo”. La morte non ferma il credente se vive la fede come esperienza di donazione, come incontro con Colui che si è donato.


A cura di Mauro Malighetti (sintesi di una lezione di Gaetano Lettieri (docente dell’Università La Sapienza di Roma) Agostino. Aporie e Naufragio della Libertà, del 30 marzo 2021 nell’ambito della programmazione di Noesis).


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