Biondi immobiliare

Le botteghe di quartiere a Loreto ultimamente cambiano in modo vertiginoso. La mia memoria giunge a cinquant’anni fa. Alla ferramenta il proprietario aveva una parlata mantovana, o giù di lì. A volte c’era la moglie, una signora sobria, due begli occhioni azzurri, che aiutava. Morto il marito, lei ha continuato. Teneva la sua fotografia sul banco.  Ora ci sono i figli. Dal panettiere andavo il mattino presto. Prendevo il pane di Altamura: per mia moglie, pugliese, era il suo legame alla terra. Alle sette del mattino c’era il tempo di fare qualche parola in più. L’aiutante mi teneva informato sui funghi e le castagne. Ristrutturato ha aggiunto il coffee break. Di fronte c’era una sala giochi. Ci andavo qualche domenica pomeriggio a giocare a ping pong con l’amico. Nostalgie di oratorio. Si scendeva un paio di gradini e si apriva l’ampio salone con bigliardini, biliardi, tam tam, calciobalilla.  Era frequentata, a volte bisognava attendere. Tutto è stato buttato giù per un nuovo supermercato.

Al bar dell’angolo trovavo il latte fresco per la bimba piccola, anche nelle feste. Strano a dirsi, è finito come riparazione di orologi. Mi dico: tornano i vecchi mestieri? Quando lo incontro saluto ancora il mio primo fruttivendolo e con la moglie scambio due parole da quando ho scoperto che abbiamo lo stesso esame del sangue da tenere sotto controllo. La posta è sparita presto, spostata alla Motorizzazione e di nuovo richiusa. Qui è rimasta la buca delle lettere. Mi era comodo per le lettere degli auguri di Natale ai parenti canadesi. La farmacia si è trasferita sul lato opposto con un piccolo parcheggio. Sembrava che resistesse al cambio generazionale, finché sono arrivate le parafarmacie. La signora anziana aveva pazienza e spiegava meglio del dottore.

L’elettricista ti provava la lampadina prima di dartela. La moglie spiegava e convinceva, faceva fatica a camminare ma arrivava. La macelleria si è spostata sulla strada principale. Una mattina ci sono arrivato di corsa. Eravamo in autunno, addosso avevo ancora vestiti leggeri e uno yogurt di frigo sullo stomaco. Son riuscito a dire “vorrei un…” e giù, sono crollato, semisvenuto. C’è stato trambusto intorno. Qualcuno, anziché tirar su le gambe mi alzava la testa. Assistito e confortato, c’era chi suggeriva il grappino ma ho preferito la caramella della signora. Da allora ho imparato a lasciar perdere certi scatti da sprinter. L’edicola del quartiere è chiusa. Peccato, era un ottimo poliziotto di quartiere.

Il primo bibliotecario che ho conosciuto – alla Circoscrizione, tra le case della 167, frutto del piano di edilizia popolare degli anni ’60 a Bergamo – mi accoglieva con “cosa vuoi, giuen?” per creare una certa familiarità.  Era seduto alla scrivania, con lo schedario in parte, in una stanzetta e attorno gli scaffali. Bastava allungare la mano. Trovavo sempre qualcosa. Da lì mi son preso Guerra e pace quando ne avevo sentito parlare alla TV in un programma condotto da Fruttero & Lucentini. La prima pizzeria da asporto era in un buco. Aspettando, venivo a conoscere i risultati delle partite e i relativi commenti.

La merceria aveva la vetrina zeppa di babbucce, bavagline, pizzetti, calzamaglie, cinture, cappelli, nastri, gomitoli di lana, scampoli di tessuti. Ti faceva immaginare il guazzabuglio che c’era dentro dove le scaffalature arrivavano al soffitto e la signora spostava la scala da una parte all’altra. Il suo non era solo un mestiere e la bottega non avrebbe potuto resistere dopo di lei. Nel garage di un condominio trovavo chi mi riparava gli sci e lisciava le lamine all’inizio della stagione. Adesso non so dove tenerli in cantina e non ho il coraggio di buttarli. Il fotografo ha resistito fino all’ultimo. Quando andavo per la carta d’identità mi sistemava i capelli. Mi diceva: “Ho appena ammortizzato l’impianto per le foto a colori, ora dovrei rifare tutto. Non me la sento. Peccato! E’ un lavoro che ha le sue soddisfazioni”.

Tra le botteghe di quartiere c’era il barbiere dal quale andavo dopo aver lasciato la figlia a scuola. Parlavamo e io gli raccontavo degli stranieri in classe a cui la sera insegnavo a leggere e scrivere. Tutti marocchini, all’inizio. “Ci chiamano vo’ cumprà” mi dicevano. Quando si è ritirato ed è subentrata la figlia ho cambiato. Sono passato anche dai cinesi che costano meno ma non parlano. Cambia il quartiere.

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