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Fino a prima della pandemia il concetto di lavoro in presenza veniva percepito, all’interno di tante aziende, come l’espressione massima di lavoro monitorato, preciso e puntuale semplicemente perché, idealmente, si collegava alla presenza fisica del proprio collaboratore la rassicurazione del rispetto del suo impegno contrattuale. A questa concezione se ne affiancava anche un’altra più esistenziale per la quale lo stacanovismo aziendale era il termometro per misurare il grado di fedeltà e fantozziana devozione del lavoratore all’impresa al punto che intere generazioni di manager e/o aspiranti tali hanno consumato la loro vita inseguendo riconoscimenti e allori per poi finire, nei migliori dei casi, a gestire fastidiose gastriti.

Ora che lo smart working è diventato sempre più diffuso e che, pertanto, la presenza fisica non è più vista come elemento indispensabile per misurare il livello di una performance aziendale; rimane ugualmente aperto il tema sociologico del riconoscimento e dell’apprezzamento ovvero: ognuno di noi chiede che il suo valore venga riconosciuto nel contesto sociale in cui vive e lavora. L’aumento di stipendio, la promozione, la carriera non sono esiti di cui vanno a beneficiare solitamente la globalità dei dipendenti di un’azienda e così il lavorare bene, non portando vantaggi rilevanti, diventa per essere strumento per forme più o meno velate di frustrazione che trovano poi nei social una delle loro possibili valvole di sfogo.

Purtroppo, nella maggioranza dei casi accade che sia nella vita familiare che in quella lavorativa l’unico riconoscimento sia quello negativo che si ottiene copiosamente quanto si sbaglia dando per totalmente scontato e ovvio quanto invece viene fatto qualcosa di buono e bello (si pensi anche al rapporto genitori/figli e viceversa). Così nascono, ad esempio, sui social quel fenomeno dal nome haters la cui finalità è quella di manifestare la propria frustrazione insultando la categoria dei riconosciuti (cioè gli influencers) per il solo fatto che quest’ultimi sono i premiati dalla vita e, quindi, potenzialmente destinati alla celebrità e, quindi, alla felicità.

Ma siamo sicuri che anche i più noti personaggi dei social siano appagati della loro vita? E di quanti followers e like la nostra vita avrebbe bisogno per sentirci veramente apprezzati? Chi scrive conosce molto bene la radicalità di questo dinamica tossica per averla sperimentata, come la stragrande maggioranza delle persone, sia nella vita lavorativa che in quella privata. Come se ne esce? Imparando, ad esempio, a riconoscere il valore del tempo e che lo stesso, come ci ha insegnato il Covid, non è infinito. Cosa può aiutare in questo cammino di consapevolezza? Innanzitutto, un buon consiglio e/o una buona lettura.

Ecco, dunque, come, nella mia vita, un libro molto easy dal titoloSulle Soglie della coscienza” (autore Adrien Candiard) stia rappresentando un valido strumento per guardare in faccia la profondità del desiderio di felicità e di riconoscimento che è nel mio cuore ma, credo, alla base di ognuno di noi. Consigliatomi da un caro amico, ho iniziato a leggerlo lentamente proprio come quando si assaggia un buon vino tanto ogni singola parola, delle 126 pagine di cui si compone il testo, sia carica di “gusto e intensità”.

Parola dopo parola ogni volta che alzo gli occhi da quelle pagine mi accorgo di più della realtà che mi circonda la stessa che c’era prima di aprire il testo eppure trasformata ai miei occhi ogni volta che richiudo il libro e inizio la giornata. Nessuna fuga, nessun improvviso cambio di rotta e/o rottura con il passato e/o il presente ma tutto osservato e vissuto da una nuova prospettiva che consente di accorgersi come, quel desiderio di “essere riconosciuti e apprezzati”, inizia a trovare il suo vero riscontro gustando la vita quotidiana che si ha davanti agli occhi. 

Candiard scrive: “Non abbiamo forse l’impressione di poter fare tutto allo stesso tempo, di poter bere a tutti i rubinetti, prima di trovarci infine con una sensazione di vuoto ancora più grande?“ Qui e ora ognuno di noi ha la straordinaria opportunità di scegliere se lamentarsi a lungo della dispersione di tempo che avviene nell’ attesa dei molti riconoscimenti che tardano ad arrivare oppure, volendosi veramente bene e riconoscendo la propria unicità nel mondo, dedicarsi a qualcosa di meglio da fare: concentrarsi sull’essenziale.

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Autore

Alessandro Grazioli

Marito e papà di 4 bambini, laureato in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano, Business Unit Eticapro, Consigliere Comunale, scrittore di libri per l'infanzia, divulgatore e influencer sociale su Socialbg

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