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Delle diverse questioni toccate da Enrico Letta (nuovo segretario del Pd) durante il discorso con il quale ha delineato la sua idea di Partito Democratico, merita particolare attenzione quella della nuova cultura della partecipazione, da lui assunta come tema centrale. Come essere partito popolare e di prossimità ai tempi di internet è una domanda ancora aperta, e oltre ai partiti, è l’idea stessa di democrazia che, per essere sostanziale e non solo formale, ha bisogno di essere continuamente alimentata dalla partecipazione dei cittadini.

Riproponendo la questione dello ius soli e dell’allargamento del voto ai sedicenni Letta ha posto due temi che per sua stessa ammissione risultano divisivi, dimostrando così di saper andare oltre le convenienze del momento per affrontare alla radice la questione di una politica sempre più lontana dalle nuove generazioni: ridisegnare e riequilibrare il volto dell’elettorato italiano e di conseguenza modificare l’agenda politica, dare uno strumento per contare e far pesare le proprie ragioni a chi oggi ne è privo.

Sulla riforma della politica Letta ha poi evocato due questioni altrettanto serie: interventi per combattere il trasformismo parlamentare troppo spesso ipocritamente scambiato con quel senza vincolo di mandato – che appunto perché principio costituzionale dovrebbe essere interpretato con maggiore dignità – e il problema di una selezione dei parlamentari da troppo tempo basata sulle liste bloccate. Non è un caso: mettere in discussione il potere delle correnti di decidere gli eletti significa dare un colpo mortale a quelle dinamiche interne che hanno portato Nicola Zingaretti a pronunciare l’ormai famoso mi vergogno. L’ultimo segretario che in questo senso fece un gesto di rottura fu Pieluigi Bersani quando, impossibilitato a riformare il porcellum, convocò le primarie per scegliere deputati e senatori, dando un contributo significativo a quella che viene ricordata come la legislatura col maggior numero di giovani e di donne in Parlamento.

Ma forse è in campo economico che il nuovo segretario ha avanzato la proposta più innovativa, ovvero la partecipazione dei lavoratori all’azienda. La proposta di far diventare i lavoratori azionisti delle grandi imprese, con la loro partecipazione negli organi di gestione delle aziende, va nella direzione di una riforma democratica del capitalismo, come già avviene in democrazia europee robuste come quella tedesca.

Infine il partito, con la proposta delle agorà democratiche, utili per aprire porte e finestre e per andare oltre le modalità sperimentate fin qui. Tra la discussione del partito, la decisione della linea, le scelte politiche e amministrative, esiste oggi un’enorme distanza, e non c’è alcun ritorno sulle scelte compiute nelle istituzioni. E’ un modello da comitato elettorale più che da soggetto politico, inaugurato all’epoca di Matteo Renzi, dove per avvicinare il partito alla società si scelse di portare gli amministratori alla guida degli organismi dirigenti. Così facendo però le mediazioni e il governo sono diventati la priorità e l’identità stessa del PD, allontanando sempre più quel popolo che nel 2018 ha bocciato pesantemente quella stagione.

Perché l’identità di un partito da che mondo è mondo si fonda sui conflitti sociali e su come decidi di dar voce e rappresentanza ad una parte del conflitto, costruendo poi nel dialogo istituzionale le sintesi più opportune. Letta dunque riparte da una nuova cultura della partecipazione: la sfida è solo all’inizio, ma è sicuramente un buon inizio.

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