E’ gia’ accaduto che qualcuno abbia ucciso chi gli era legato per non averlo riconosciuto, per ignoranza o pregiudizio. (Eschilo)
Alterità e identità è argomento sentito oggi in questo incerto e mutevole momento storico ed era presente a suo modo nel mondo e nella letteratura della Grecia antica. Ci accompagnano nella riflessione due pensatori d’eccezione: Zygmunt Bauman da una parte che ha parlato di “società liquida” e ha approfondito le dinamiche e i confini che segnano le società, Paul Ricoeur dall’altra che ci ha aiutato a cogliere nelle narrazioni drammaturgiche le valenze etiche.
I Greci siamo noi, fanno parte del nostro mondo, sono le nostre radici. Di quell’albero i frutti sono i loro testi che nella storia continuamente sono stati esplorati. Il sistema delle relazioni, le emozioni che le muovono, l’aggressività che vi si manifesta, l’attenzione per l’altro, sono presenti nella cultura greca e nella polis. Vi prevale il soggetto collettivo, tutti coinvolti nella medesima direzione, a differenza della modernità in cui prevale l’individuo. Oggi le esigenze del singolo sono riconosciute, in quel mondo la differenza era punita.
Prendiamo Medea, doppiamente esclusa perché donna e “barbara”, per di più esperta nelle arti magiche. Lei stessa si autoesclude, rivendicando il suo essere diverso (diàforos) e perciò appare come personaggio inquietante. Lei che per vendicarsi di Giasone che l’ha abbandonata finisce per meditare tremenda vendetta.
Partiamo da Omero che non conosce il termine barbaros ma usa barbarofonos a indicare la persona che parla male il greco, lo storpia, emette vocalizzi incomprensibili che imitano il ripetitivo verso delle rondini. Nell’Iliade troviamo lo xénos, lo straniero che è colui con cui si è avuto un rapporto positivo, di ospitalità e come tale va ancora rispettato e onorato. Quando il greco Diomede e il troiano Glauco vengono a duello (Canto VIII), nello scambio di battute preliminari – chi sei tu? – vengono a conoscere che tra loro c’è stato un legame di ospitalità. Tra loro non ci può essere che rispetto e rinunciano alla lotta, scambiandosi doni. Greci e Troiani parlano la stessa lingua, venerano gli stessi dei, condividono lo stesso mare, condividono la stessa cultura, possono essere nemici ma anche fratelli.
Altro testo esemplare è la tragedia di Eschilo, I Persiani. Il racconto è fatto dal nemico, i Greci raccontati dai Persiani. Alla reggia di Susa giunge la notizia della sconfitta: la flotta di Serse è stata annientata nella baia di Salamina. I Persiani sono sgomenti. La regina al messaggero: “Erano così numerosi le navi dei Greci?” E il messaggero: “Stando al numero doveva vincere la flotta dei barbari”, barbari che sono loro, i Persiani. ”Serse guidava una flotta di mille navi. Ma un demone volle distruggere il nostro esercito”. E racconta lo svolgersi della battaglia, l’inganno ordito dai Greci, lo sfavore degli dei, la ventilata vittoria e invece l’incredibile fatale esito. Dalla parte greca è un ordinato disporsi, un armonico canto di incitamento, il rimbombo pauroso delle grida di attacco che echeggia dalle rocce, dall’altra, quella persiana, un misto brusìo di lingue, il caotico cozzarsi delle imbarcazioni, le urla scomposte, il precipitoso fuggire. Il Signore del grande è preso dal pianto, lacerate le vesti, dal lamento inarrestabile. Da una parte la dismisura, il caos, l’arroganza (ùbris), dall’altra l’ordine, la misura, la forza della libertà prevalgono nonostante la sproporzione di forze in campo. Nell’esercito greco si raccolgono diverse polis ma in tutti lo stesso sangue, l’unica lingua, le comuni tradizioni e divinità.
Nell’altra tragedia di Eschilo, Le Supplici (462 a.C.), la vicenda si apre con l’arrivo delle 50 figlie di Danao. In fuga dall’Egitto chiedono ospitalità al re di Argo. La madre loro è stata Io, la fanciulla amata da Zeus che l’ha mutata in giovenca per salvarla dalla terribile gelosia della consorte Era. Costei non desiste e la perseguita inviandole un tafano e costringendola ad una perenne fuga che termina in Egitto. Da Argo era fuggita e ad Argo le Danaidi, sue figlie, tornano. Sono straniere per gli abitanti di Argo, straniere1nel vestito e nella parlata. Sono fuggite dall’asservimento e dalla violenza e chiedono ascolto: “Signore di questa terra, aiuto!”.
La tradizione e la volontà degli dei impongono il rispetto dello xenos. Pelasgo, il re di Argo, è indeciso però, ogni decisione non sarà indolore. Il rifiuto si tradurrà per le donne in cappio di morte. Il re si rivolge ai concittadini per il da farsi. L’assemblea deciderà per l’accoglienza. Nubi minacciose si profilano all’orizzonte. I pretendenti maschi di quella terra lontana pretendono quello che essi ritengono diritto. Ma la scelta degli abitanti di Argo non cambierà. “Ci proteggano gli dei – dice il re – e che anche a noi non capiti di dover subire la medesima sorte!”. L’accoglienza non è pacifica, l’esito incerto: la razionalità riuscirà a disinnescare il ciclo della violenza?
Sintesi della relazione di Anna Beltrametti
IDENTITA’ E ALTERITA’ NELLA GRECIA
Bergamo, Auditorium Liceo Mascheroni, 18 marzo 2025
all'interno del Programma Noesis 2024/2025